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Arte Viviana Papilio 07 aprile 2019 02:18 Circa 5 minuti per leggerlo stampa
Jorit Agoch non ha bisogno di presentazioni. L’artista napoletano che ha ritratto volti di personaggi famosi e persone comuni, santi/operai e lazzari, sulle facciate di palazzoni nelle periferie, nei rioni di Napoli e sui muri di città straniere, è a lavoro da qualche giorno nel quartiere di case popolari I.A.C.P. di Palma Campania.
Questa volta lo street artist (che non ama definirsi tale) mette a sistema tre identità apertamente distanti fra loro nel tempo e nello spazio ma che, pur nella loro alterità, confluiscono in una dimensione etica comune fatta di impegno sociale, eroismo e desiderio di libertà.
Jorit parte da Vincenzo Russo, rivoluzionario di origine palmese autore di importanti riflessioni sulla costituzione di un neo-feudalesimo, sull’urbanizzazione incontrollata e sull’esclusione dei cittadini dalla vita politica, arrivando a postulare l’idea di una repubblica inclusiva basata sull’egualitarismo politico ed economico.
I suoi ideali, protorepubblicani, illuministi ed eversivi, oltre a condurlo verso l’esperienza della Repubblica napoletana del 1799, lo spinsero a delineare un nuovo modello ideologico che riconosceva nell’assenza di limitazioni all’accumulo di proprietà private la crescita esclusiva di pochi a danno dei tanti (contadini) ridotti a lavorare per i possidenti latifondisti, secondo un rinnovato feudalesimo che coltivava disparità.
Invece il Russo difendeva espressamente il diritto del contadino a possedere il suo terreno, bastevole per la sussistenza e a garantirgli l’indipendenza. “La disuguaglianza comincia finalmente allora quando io non posso avere abbastanza pe’ miei bisogni, e tu hai al di là de’ tuoi”, scriveva nel suo “Pensieri Politici”.
Jorit sceglie una frase in particolare: “L’uomo in società non esiste come individuo ma come membro della comunità. Finché un cittadino non ha la possibilità di esercitare qualunque impiego politico, non vi è uguaglianza: non vi è di diritto, dove n’è esclusa una classe non vi è di fatto, dove una classe sociale non ha la capacità di esercitare il potere”.
Diritti sanciti dalla Costituzione e considerati ovvi, ma quanto in effetti attuati e ritenuti tali dalle sacche marginali della cittadinanza, non di rado emarginate e respinte?
La scritta è stata poi ricoperta dal disegno di due volti. Il primo raffigura Thomas Sankara, giovane dissidente che guidò il suo Paese, il Burkina Faso, verso una direzione più equa, giusta e socialmente sostenibile, ribellandosi al sistema colonialista francese che aveva sottratto alla sua popolazione gli strumenti necessari alla sopravvivenza.
Sankara costruì un Paese nuovo attuando il cambiamento attraverso riforme politiche sostanziali che inclusero la gestione dell’agricoltura, la Sanità, i diritti delle donne e l’Istruzione, e finalizzate a migliorare la qualità di vita della sua gente. Probità, onestà e dedizione gli costarono la vita.
Il secondo volto è ispirato al ragazzo proveniente dal Mali ritrovato sul fondo del mare con una pagella cucita nella tasca della giacca, una circostanza che facilmente smosse coscienze e commosse gli animi con la stessa velocità con cui li ha ripiombati nell’indifferenza e nell’apatia verso l’altro.
Ma, oltre i molteplici scenari e le storie che si possono presupporre sulla drammatica vicenda, resta il nodo della essenzialità dell’Istruzione: il palmese Vincenzino Russo, da cui siamo partiti, a tal proposito sosteneva che “Non sarà mai eguaglianza di capacità politica fra gli uomini, se non si renda generale l’istruzione”. L’istruzione, strumento primario e ineludibile per garantire all’umanità ragione, democrazia e capacità di vivere.
Lungo la Circumvallazione, a pochi metri da Via De Gasperi, una moltitudine di auto transita come ogni giorno insieme a un numero cospicuo di camion. Quest’ultimi si addentrano nell’agro nocerino-sarnese, terra ancora munifica di prodotti agricoli, lontana temporalmente dal feudalesimo che denunciava il Russo nel Settecento e forse non più sfruttata unilateralmente.
Il murales attira l’attenzione di tanti curiosi, anche chi è alla guida rallenta, nessuno immune ai volti iperrealisti di Jorit, segnati dalle immancabili linee rosse, tratto paradigmatico e distintivo dei suoi ritratti, la traccia di appartenenza alla stessa tribù umana.
La comunità palmese ha accolto con entusiasmo la novità lasciando che le poche voci dissonanti si dissipassero da sole. La maggior parte degli abitanti del posto apprezza la decisione dell’amministrazione locale di impiegare alcuni fondi – non comunali e già destinati alla riqualificazione urbana - nella realizzazione dell’opera, pur consapevole che non basta un paravento per rigenerare certi luoghi. Nel frattempo Jorit, annidato nella sua impalcatura, poco incline alle copertine e alle interviste, è diventato un attrattore per molti e in particolare per la popolazione del quartiere. Qualcuno arriva per invitarlo a pranzo, qualcun altro si ferma per dispensare consigli sul colore da usare, qualcuno ancora si porta sul posto munito di scopa per ripulire il piazzale da cartacce e rifiuti. A quel punto Jorit interrompe per qualche minuto il suo lavoro e si mette ad ascoltare le storie degli altri, quelle dell’uomo comune che vive il paese reale.
Intanto quei volti paiono aver innescato uno sforzo d’attenzione che induce alla riflessione e alla responsabilità.
Parafrasando la filosofia di Lévinas, è questo che sembrano dire gli sguardi dipinti ai passanti, strappandoli dal torpore dell’indifferenza e dalle pastoie dell’egoismo: “Fermati. Accanto a te c’è un altro uomo. Incontralo: l’incontro è la più grande, la più importante delle esperienze. Guarda il volto che l’altro ti offre”.
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