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Cronaca Antonio Capasso 22 giugno 2006 00:09 Circa 6 minuti per leggerlo stampa
Il neo-ministro Livia Turco ha finalmente riproposto la necessità di riattivare la "Medicina del Territorio", il che significa riportare l'attenzione sulla Medicina Preventiva.
Questa priorità era il cavallo di battaglia, se vogliamo la perla (a mio avviso), della vecchia Riforma Sanitaria del 1979 la "833", vecchia d'età ma validissima tutt'oggi.
Essa rimase pressoché inapplicata in buona parte del Paese, solo poche U.S.L. iniziarono un programma serio di prevenzione e di intervento sul territorio oltre a riorganizzare in maniera più efficiente il sistema assistenziale sia con la ristrutturazione dei servizi che col decentramento di alcuni di essi nei Distretti di base.
A suo tempo fu un inizio che, fra l'altro, si scontrò con difficoltà ed ostacoli di vario genere, e cioé di natura politica, sia per l'ottusità e l'incompetenza di molti sia per la difficoltà di rimuovere vecchi pregiudizi e posizioni di potere acquisite col vecchio sistema assistenziale; un altro ostacolo fondamentale fu rappresentato dalla scarsissima collaborazione degli operatori sanitari di base e di conseguenza degli utenti, dovuta a motivi di ordine prevalentemente culturale e di scarsa attitudine a recepire il bisogno reale di salute dei cittadini, per i quali ci fu unicamente un miglioramento di tipo logistico nell'erogazione dell'assistenza e nessun tentativo di ottenerne l'adesione e la collaborazione su un programma di intervento preventivo; i pochi tentativi si arenarono per l'indifferenza dei medici di base e la scarsa educazione sanitaria della popolazione ( per correggere la quale poco o nulla è stato fatto fino ad oggi).
E' d'obbligo, pertanto, fare una considerazione dopo tanti anni dal "varo" della 833, cioé contrariamente al luogo comune del fallimento della Riforma, da molti sbandierato in ogni sede e in ogni occasione, bisogna evidenziare che in realtà fallì la fiducia riposta in gran parte degli operatori sanitari e degli uomini politici, che dovevano essere promotori dell'attuazione della legge; questo comunque non ci obbliga a restaurare il vecchio e incancrenito sistema di elemosinare assistenza, oggi come oggi costosissima, ma al contrario ci deve stimolare ad apportare correttivi che ci permettano di eliminare ogni ostacolo, sia reale che "fittizio", all'attuazione di una politica sanitaria che vada incontro ai "bisogni" della popolazione.
A questo punto è necessario, in via preliminare, fare una distinzione fondamentale tra domanda sanitaria e bisogno sanitario. Il vecchio sistema sanitario mutualistico erogava assistenza pura e semplice, cioè cercava di soddisfare la domanda sanitaria espressa dai cittadini o direttamente tramite gli ospedali e i poliambulatori o indirettamente per il tramite dei medici mutualisti che di fatto lasciavano filtrare qualsiasi richiesta.
Ciò si confaceva alla tradizione di un sistema assistenziale di mutuo soccorso il cui perno culturale era rappresentato dalla concezione della malattia come modificabile nel suo decorso ma non removibile nelle cause o fattori di rischio, ed in questo tipo di cultura della salute si è formata la maggioranza degli attuali operatori sanitari. Ma per svariati motivi di natura sociale, economica e culturale, nello specifico dei problemi della salute, si capì che era possibile agire sulle cause di malattia, eradicandole in molti casi. Tale nuovo atteggiamento si tradusse nella enunciazione di alcuni principi fondamentali, cardine della legge di Riforma "833", che ebbero, come era prevedibile e giusto, un effetto boomerang sulle " consuetudini" dei cittadini e sulle "certezze culturali" dì buona parte degli operatori sanitari ( un guaio peggiore sarebbe comunque stato l'assuefazione passiva alle nuove "regole" che in tal modo non avrebbero inciso nel profondo delle vecchie tradizioni).
Come si diceva, si cominciò ad identificare il bisogno sanitario reale; cioè quello nascosto tra le pieghe di una generica e superficiale domanda sanitaria espressa dalla popolazione, e ad individuarlo nelle condizioni di vita familiare e sociale, negli ambienti di lavoro, nelle errate o forzate abitudini di squilibrio alimentare, di sedentarietà etc.; venne in tal modo formandosi una nuova disciplina, la prevenzione primaria (che non consiste nella semplice diagnosi precoce ma nella individuazione e rimozione delle cause di malattia, dando ad essa la priorità politica nella scelta del tipo di intervento sanitario sul territorio).
Le conseguenze, allora, di tale nuovo atteggiamento culturale di fronte ai problemi della salute sono facilmente intuibili: l'ospedale, perno della cultura assistenziale, avrebbe assunto una importanza secondaria; al ricovero più o meno lungo in strutture di medicina generale si pose l'alternativa del "Day Hospital " come ausilio polispecialistico allo screening sanitario di base o il ricovero in centri specialistici chirurgici per la rimozione di quelle patologie non altrimenti emendabili. Il vero centro dell'intervento sanitario, sia assistenziale che soprattutto preventivo, divenne così il Distretto Sanitario di base, le cui funzioni, nello spirito della Riforma, non furono ben recepite da molti.
Il Distretto, sia dal punto di vista topografico che funzionale, doveva rappresentare il centro sanitario di una Comunità , ben identificabile per le abitudini di vita e di lavoro dei suoi membri e per le condizioni geoclimatiche ambientali, in cui far confluire gli sforzi sia degli operatori sanitari di base, con la funzione di filtro diagnostico e terapeutico della domanda sanitaria dei cittadini, che degli operatori pubblici; da questa collaborazione sarebbe nata una Medicina di Comunità , sintesi per un intervento della struttura pubblica sul territorio partendo dalla raccolta ed elaborazione dei dati sanitari di base.
Oggi il Ministro Livia Turco ripropone questa necessità , ed a ragion veduta; per motivi sia di natura economica (grandissimo risparmio nell'erogazione di inutili forme assistenziali) che di cultura sanitaria (centrare l'attenzione sulla opportunità di rimuovere là dove possibile le cause di malattia).
L'immediata indicazione pratica, a mio avviso, è l'istituzione di Centri epidemiologici all'interno del Distretto, che affianchino da un lato il medico di base nella raccolta dei dati e dall'altra la struttura pubblica centrale nella elaborazione degli stessi, programmando alla fine un intervento scientifico sul territorio della Comunità . Bisogna quindi potenziare tutte le strutture già esistenti, mettendole in condizione di avviare un programma di controllo ambientale sia sul territorio che negli ambienti di lavoro.
E' inoltre indispensabile istituire un serio programma di educazione sanitaria, sia generale per la collettività che specifico per gli stessi operatori sanitari, che non si risolva però in generici convegni di aggiornamento professionale, perseguibile del resto altrove, ma tenda alla formazione di un operatore sanitario di tipo nuovo dal punto di vista culturale e professionale, che sappia cioè estrapolare dall'osservazione quotidiana dei pazienti tutti quei dati utili per un intervento di tipo preventivo.
In sintesi il vero bisogno sanitario è che le diverse prestazioni assistenziali non restino fine a sé stesse ma servano da punto di partenza per un programma di prevenzione.
Ad esempio, che i vari Distretti offrano varie consulenze specialistiche non porta a nulla di nuovo se poi alla fine non si raccolgono i dati per avviare un'indagine epidemiologica e cercare di stabilire una correlazione tipo causa-effetto, per poter successivamente intervenire rimovendo le cause stesse di malattia.
Occorre, quindi, inquadrare i problemi della salute con un'ottica culturale diversa, che il nuovo Ministro pare abbia individuato.
Dr Antonio Capasso
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