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Cronaca Antonio Capasso 10 febbraio 2010 00:11 Circa 6 minuti per leggerlo stampa
e’ stata applicata la l. 180 ? - Articolo estratto da” Problema Sanità” di A. Capasso (La Voce della Bassa Irpinia 16/31 Luglio 1988)
Vedendo ieri la I parte del magnifico film tv sulla “rivoluzione culturale” in Psichiatria operata da Franco Basaglia negli anni sessanta, ho riletto un mio vecchissimo articolo sulla L. 833/78 che ricomprendeva anche una valutazione della L. 180; ve lo ripropongo nella parte riguardante questa legge perche’ lo ritengo ancora valido.
Premetto che, contrariamente a quanto affermato ripetutamente dai suoi detrattori, Franco Basaglia non è mai stato un rappresentante della teoria dell’Antipsichiatria (di cui era principale fautore il sudafricano David Cooper, che ne coniò per la prima volta il nome nel 1967); egli infatti non negava l’esistenza della malattia mentale né considerava la schizofrenia come un semplice disturbo psicologico, come sostenuto da altri.
E’ stato ben diverso,invece, pretendere la chiusura dei manicomi, che avevano ormai perso la originaria funzione ad essi attribuita dal Governo Giolitti che legiferò in materia agli inizi del Novecento (creazione di Manicomi Provinciali allo scopo di evitare le migrazioni degli ammalati da un capo all’altro del Paese e consentire così di curarli in qualche modo senza sradicarli dal loro ambiente. Anche questa riforma fu disattesa!). Infatti i manicomi avevano assunto le nefande caratteristiche di luoghi di perdizione ineluttabile e di accatastamento delle più svariate forme di patologia, in gran parte curabili senza la necessità di ricoveri coatti in bolge infernali.
La necessita’ di chiudere i manicomi è ben sintetizzata dallo stesso Basaglia:
“Dal momento in cui oltrepassa il muro dell'internamento, il malato entra in una nuova dimensione di vuoto emozionale ….); viene immesso, cioè, in uno spazio che, originariamente nato per renderlo inoffensivo ed insieme curarlo, appare in pratica come un luogo paradossalmente costruito per il completo annientamento della sua individualità, come luogo della sua totale oggettivazione. Se la malattia mentale è, alla sua stessa origine, perdita dell'individualità, della libertà, nel manicomio il malato non trova altro che il luogo dove sarà definitivamente perduto, reso oggetto della malattia e del ritmo dell'internamento. L'assenza di ogni progetto, la perdita del futuro, l'essere costantemente in balia degli altri senza la minima spinta personale, l'aver scandita e organizzata la propria giornata su tempi dettati solo da esigenze organizzative che, proprio in quanto tali, non possono tenere conto del singolo individuo e delle particolari circostanze di ognuno: questo è lo schema istituzionalizzante su cui si articola la vita dell'asilo »”. (Franco Basaglia, 1964)
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“……..Un’attenzione particolare merita il problema dell’assistenza psichiatrica e ciò perché in nessun altro set¬tore della Sanità pubblica come in questo si è avuto un totale sconvolgimento delle certezze culturali e soprattutto delle comode abitudini della popolazio¬ne, in conseguenza della emanazione della legge 180.
Questa legge, che interpreta appieno lo spirito del¬la Riforma Sanitaria, ha po¬sto e pone tuttora due tipi di problemi, uno squisita¬mente culturale legato alla chiusura degli Ospedali psichiatrici, vecchi luoghi di “accatastamento bolgesco” e di assistenza medioevale nei confronti di esseri uma¬ni affetti dalle più svariate forme di patologia, con l’in¬dicazione di nuovi e più ef¬ficaci tipi di intervento; l’altro problema, conseguenza del primo, è la totale disat¬tenzione, soprattutto da parte degli operatori sanita¬ri, di fronte alle soluzioni alternative proposte dalla legge e al riguardo giocano molto lo scarso impegno nel cercare di comprendere il problema e la mancanza di volontà sia professiona¬le che politica.
La necessità di chiudere i manicomi è maturata in un’epoca dì grossi fermen¬ti culturali e sociali e ri¬sponde perfettamente all’e¬sigenza di inquadrare i pro¬blemi della salute psichica partendo dalla considera¬zione del malato come esse¬re umano non più ledibile nei suoi diritti civili e socia¬li, da riabilitare quindi e non più isolare perché rite¬nuto pericoloso.
Anche in questo caso l’aspetto prin¬cipale del problema è di na¬tura culturale sia nel modo di porsi di fronte ai proble¬mi della salute, non più co¬me soggetti passivi e rinun¬ciatari ma impegnati a ca¬pire e risolvere nell’interes¬se generale i lati ancora oscuri della psiche, sia nel riportare a livelli più accet¬tabili di socialità i rapporti col malato di mente e con la devianza in generale. La legge 180 in effetti ha decentrato a livello di U.S.L. l’assistenza ai mala¬ti di mente, con l’istituzio¬ne di un Dipartimento di sa¬lute mentale che si avvale di poliambulatori e del Day Hospital (per i casi acuti che ne¬cessitano di un trattamen¬to sanitario urgente e defi¬nito obbligatorio dal legi¬slatore), inoltre essa dà in¬dicazioni per un intervento di riabilitazione dei cronici per i quali sono previste an¬che abitazioni protette. Ma il vero aspetto innova¬tore non sta tanto nel de¬centramento dell’assistenza o in quei correttivi che la rendono più umanizzante bensì nel diverso tipo di rapporto che si deve instau-rare tra l’operatore, il ma¬lato e i familiari di quest’ul¬timo.
Non è più sufficiente la semplice prescrizione tera¬peutica, cosi come purtrop¬po avviene negli ambulato¬ri psichiatrici, né tantome¬no è giustificabile l’immobi¬lismo degli operatori che at¬tendono ai loro compiti co¬me se si trattasse di lavoro d’ufficio.
Lo sforzo che si deve compiere è quello di seguire costantemente l’ammala¬to nel proprio ambiente di vita, sia familiare che even¬tualmente di lavoro, colla¬borando strettamente con i familiari e i datori di lavo¬ro, i quali vanno educati ad instaurare un rapporto dialettico col paziente psichiatrico, cercando di prevenire in tal modo gli episodi di riacutizzazione. Purtroppo da questo pun¬to di vista la legge è total¬mente disattesa; i pazienti ed i loro familiari sono completamente abbandona¬ti a sé stessi e alle difficol¬tà oggettive di comprensio¬ne reciproca e da qui sorgo¬no lamentele, paure ed an¬che episodi di intolleranza. Il pericolo attuale è quindi quello del ritorno alla ospedalizzazione forzata, una vera e propria clausu¬ra più “comoda”, sia per i familiari che per gli opera¬tori sanitari, per molti dei quali è anche più produtti¬va, ma totalmente ineffica¬ce e deleteria per il pazien¬te, per il quale sfuma in tal modo l’ultima speranza di socializzazione e di riabili¬tazione.”
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