Cronaca
Silvia Conte
22 novembre 2006 23:18
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L'INSOSTENIBILE LEGGEREZZA...
Morire a ventun'anni sognando d'essere perfetta.
Questa è una storia a metà . Una di quelle storie lasciate in sospeso, come in attesa di un lieto fine. Che, già si sa, non arriverà mai. Questa è una storia di cose leggere che diventano troppo pesanti. E di altre cose leggere che, invece, rimpiccioliscono sino a sparire. Questa è la storia di Ana Carolina Reston.
Ventuno anni sono pochi. Ma possono diventare macigni. Ana Carolina avvertiva il loro peso su di sé. Dentro di sé. Sulla bilancia. Bella, stupenda, giovane, Ana Carolina era una modella, di quelle destinate a diventare grandi. Questo sogno la accompagnava sin da quando, tredicenne, aveva calcato le sue prime passerelle. Scoperta grazie ad un concorso di bellezza nella piccola città Brasiliana di Jundiai, aveva da subito ottenuto contratti presso le maggiori case di moda. Stella adolescente, catapultata in un mondo troppo adulto, Ana aveva fatto di questo suo desiderio un'ossessione.
L'ansia di essere perfetta, di rispondere quotidianamente ad esigenze e richieste sempre più pressanti, di dover affrontare ogni giorno i colpi di un ambiente molto competitivo, avevano aggredito il suo esile corpo e la sua mente da bambina. E la avevano spinta a sperare di diventare ogni giorno più magra, ogni giorno più flessuosa, quasi impalpabile. Fino a portarla a rifiutare quel cibo che avvertiva come ostacolo al raggiungimento del suo più grande obiettivo.
La sua magrezza aveva già preoccupato Lica Kohlrausch, proprietaria dell'agenzia L'Equipe, per la quale la modella lavorava. Di ritorno da un viaggio in Giappone, durante il quale Ana aveva partecipato ad un catalogo di Giorgio Armani, una collaboratrice le aveva fatto notare che la ragazza era troppo magra. La modella era stata, infatti, ricoverata in un ospedale nipponico, ma non aveva voluto ammettere di essere malata. Nonostante ciò l'agenzia aveva continuato a farla viaggiare, a farla lavorare. Quasi reputando la sua sofferenza una cosa normale.
Ma il dolore di Ana era tutt'altro che ordinario. Da anni ormai si nutriva solo di mele e pomodori. E quando, nonostante tutti questi suoi sforzi, l'ago della bilancia aveva toccato i 46 chili, aveva deciso di smettere completamente di mangiare. Per veder diminuire ancora questo peso per lei inaccettabile.
"Attualmente peso 46 chili e mi sento grassa, mi rendo conto di avere una visione distorta di me stessa", aveva dichiarato di recente alla stampa. Ricoverata d'urgenza il 25 ottobre per un'insufficienza renale, conseguenza della sua anoressia, Ana Carolina è morta il 16 novembre in un ospedale di San Paolo del Brasile, dopo aver lottato contro un'infezione generalizzata. Il suo corpo troppo debole, 40 chili per 1, 73 metri d'altezza, non ha retto.
E a poco tempo dalla fine di questo calvario già si riapre il dibattito sull'anoressia nel mondo della moda e su quanto questo problema sia tenuto in poco conto dalle agenzie che continuano a far sfilare ragazze al limite della sopravvivenza, palesemente denutrite. E già ci si chiede: ma la famiglia dov'era? Che cosa ha fatto per lei? Domanda ingiusta. Nelle prime interviste la mamma dichiara, infatti, che le era impossibile affrontare l' ossessione della figlia. Se qualcuno le diceva di mangiare, infatti, Ana reagiva con aggressività e finiva per rifiutare anche quel poco che ancora la teneva in vita. E la ragazza, terrorizzata dalla possibilità di perdere il lavoro, non partecipava neanche all'incontro con lo psichiatra che la aveva in cura e che le era stato affiancato dalla stessa agenzia Elite.
A nulla serve, quindi, arrovellarsi nella ricerca del responsabile. Né ha senso incolpare la famiglia, le agenzie, la società intera. Si può solo riflettere su quel sentirsi ingombranti che porta a scomparire. Su quel desiderio di perfezione che, attraverso una spirale di sofferenza quasi mistica, conduce all'autodistruzione. Con la speranza che storie come quella di Ana, lasciate a metà , possano essere d'esempio. Perché su questa tristezza, su questo sconforto, possano germogliare il coraggio e la voglia di vivere per quanti possono ancora tornare a volare.
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