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Cronaca Redazione 16 marzo 2009 20:47 Circa 4 minuti per leggerlo stampa
Con il cambio del timoniere della nave Partico Democratico, pare che il parallelismo tra il PD ed il Titanic sia divenuto fuori luogo.
Finalmente si ascoltano proposte più o meno fattibili, magari con una vena populista ma ora tutti sanno che il PD è all’opposizione!
Il dibattito politico è finalmente diverso e non relega il PD a mero pendolo tra posizioni filogovernative e antiberlusconiane.
Dalle prese di posizione del timoniere Franceschini, s’intuisce la volontà di rianimarsi, di riappropriarsi di una identità e di una progettualità politica che aldilà della cornice ideale pur anglosassoneggiante, tiene conto dello specifico della politica italiana: riuscire a parlare “alle pance” degl’italiani.
Ovvio è il fine di questa massmediaticità della politica di Franceschini: provare ad evitare il disastro delle elezioni Europee ormai prossime.
Ovvio è che solo Franceschini non va da nessuna parte!
Se il suo fare rivivacizza la base, gli amministratori locali hanno il dovere, se la loro adesione al PD è avventa in scienza e coscienza e non per mera obbedienza al “capozona”, di muoversi per la prossima tornata elettorale, come se fossero le proprie elezioni amministrative.
Urge tornare al “casa casa”. Urge mostrare il volto prossimo di un Partito che vuole e può porsi come nuovo, anche attraverso gli amministratori locali che quotidianamente riscuotono e motivano la fiducia dei cittadini col loro governo del territorio.
Il mio non è un richiamo al “partito degli amministratori” ma un invito agli “amministratori del partito” perché scendano in campo con forte determinazione.
Il mio è un invito soprattutto per gli amministratori locali del Sud, della Campania, della Provincia di Napoli, poiché ritengo condivisibile la strategia di D’Alema per il Sud, ben sintetizzata nell’articolo del Corriere della Sera del 07 marzo 2009 a firma di Verderame. «Numeri alla mano» sottolinea D’Alema, la spesa pubblica pro capite al Sud è più bassa rispetto al Nord. E che, certo, al Nord — a fronte di un sistema produttivo avanzato — c'è una pubblica amministrazione poco efficiente, ma al Sud è ancor più inefficiente e dunque le tasse che si pagano sono eccessive rispetto al Settentrione. Non c'è congresso o convegno dove manchi di denunciare il «falso storico » della questione settentrionale, sebbene un pezzo rilevante del Pd al Nord — da Sergio Chiamparino a Massimo Cacciari, da Filippo Penati a Mercedes Bresso — si esprima e agisca in modo completamente diverso, tentato com'è dal rapporto con la Lega, e intenzionato a non rompere con il Carroccio sul federalismo fiscale. L'idea federalista non dispiace a D'Alema, è l'impianto della riforma che però non lo convince, perché — a suo avviso — non funziona e rischia di spaccare il Paese. C'è da difendere il Sud.
Ecco perché si è intestato la battaglia che già alle elezioni del 2008 aveva visto schierati dirigenti del Pd come Nicola Latorre che scrisse un articolo sull'Unità per sottolineare che «la questione meridionale non poteva essere scambiata solo per una questione criminale». D'Alema chiama alla resistenza i dirigenti locali del partito. Sa che sarà difficile reggere all'offensiva berlusconiana, specie in Campania dove la situazione è molto compromessa. Conosce i piani del Cavaliere, e i ragionamenti che svolge nelle riunioni riservate, e cioè che il Pd «sul territorio andrà incontro a una pesante sconfitta». I «recenti scandali» e il «logoramento del partito dei sindaci», a detta del premier «stanno allontanando il loro elettorato»: «La forza della sinistra risiedeva negli amministratori. Dopo quanto è accaduto, è stata colpita la rappresentazione più vicina all'opinione pubblica». Perciò il «deputato di Gallipoli» prova a organizzare una difesa, consapevole che su quella «linea del Piave », spostata centinaia di chilometri più a sud, al di là della quale c’è la Campania, la Basilicata, la Puglia e la Calabria, autentiche roccaforti per il Centro Sinistra e regioni in cui si giocheranno le sorti di un'intera classe dirigente.
Il rischio è che aree di queste regioni diverranno una sorta di riserve indiane in cui sognare un Italia, una regione ed una provincia diversa. Urgono volti nuovi che ridonino agli elettori il senso della prossimità delle scelte politiche autenticamente prese per il solo perseguimento del bene comune all’intera collettività e non alle lobby di turno. Chi meglio degli amministratori locali che quotidianamente combattono per queste cose può farlo? E’ ora che il partito faccia passare più l’immagine e l’idea di una politica del fare che di una politica salottiera, romana, distante e professionalizzata.
Giovanni Malesci
Assessore all’Urbanistica ed ai LL.PP. di San Vitaliano (Na)
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