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Cronaca Redazione 05 febbraio 2013 00:26 Circa 10 minuti per leggerlo stampa
No al maltrattamento degli animali. Bisogna denunciare!
MARIGLIANO - Occhi scuri, pelo corto, taglia grande. Apparentemente questa sembra la descrizione di un cane sano, ma in realtà non lo è. Guardandolo di profilo si notano delle lesioni cutanee evidenziate da solchi riscontrati nella pelle all’altezza del collo causate dal collare troppo stretto che da mesi, o forse anni, gli sta deformando il muscolo e rischia di strozzarlo.
Giovedì 17 Gennaio pomeriggio la terribile scoperta. Mentre alcuni volontari dell’associazione animalista “Amico Fedele Marigliano” percorrevano via Sarno, hanno intravisto questo grande cucciolo nero (nella foto) legato ad una catena: “Il collare è diventato parte del suo collo, entrando da una parte ed uscendo dall’altra, il cane non riesce neanche più ad abbaiare” racconta una volontaria. Allarmati, hanno contattato immediatamente l’Asl Veterinarie e la Polizia Municipale perché potessero prendere provvedimenti. Ma la vicenda ha avuto un seguito misterioso: il cane era scomparso e i volontari non hanno più avuto notizie in merito alle sue condizioni di salute né tantomeno che fine abbia fatto, nonostante numerosi solleciti alle istituzioni preposte. Si presume che il proprietario sia stato avvisato di doversi occupare del cane nonostante il fatto che fosse già tenuto in condizioni evidenti di maltrattamento.
Secondo la Cassazione, legare un cane alla catena è “un inutile incrudelimento sui poveri animali”, per cui come tale infrange la legge e deve essere punito molto severamente. Questo spiacevole episodio fa capire come, nonostante il maltrattamento di animali sia stato riconosciuto a tutti gli effetti come reato, i nostri amici a quattro zampe siano ancora vittime di prepotenze e umiliazioni da parte di persone senza scrupoli. E’ inaccettabile che in un’epoca civilizzata come la nostra ci siano ancora individui che sottopongono gli animali a strazi o sevizie, che li adoperino in giochi, spettacoli o lavori insostenibili o che li detengono in condizioni incompatibili con la loro natura.
L’uomo fa progressi in tutti i campi, ma sulla strada che porta all’armonia con gli animali purtroppo resta indietro. Si vedono ancora troppi animali legati alla catena, rinchiusi in recinti simili a lager, picchiati, abbandonati, e spesso seviziati per puro sadismo. Eppure tutto questo non avviene nelle zone più degradate del pianeta dove povertà e ignoranza potrebbero giustificare tali crudeltà; al contrario, avviene tra i palazzi e le villette delle nostre città, come parte della nostra quotidianità.
Da qualche tempo si sta facendo strada una corrente di pensiero rispettosa del mondo animale che si chiama “animalismo” e si basa sul concetto di rispetto per gli animali non-umani. La filosofia animalista compie un passo avanti abbattendo anche l’idea per cui l’uomo sia superiore alle altre specie animali.
L’uomo, infatti, nella sua arroganza, nutre la presunzione di essere l’opera del creato più grande delle altre, la più meritevole, dimenticandosi di essere semplicemente un discendente dagli animali.
Lo specismo, neologismo che significa razzismo tra tutte le specie viventi, consiste nell’adottare un atteggiamento differente secondo le specie, nel distruggerne alcune proteggendone altre, nel dichiarare che certe specie sono “utili”, altre “nocive” e quindi possa trarne beneficio sfruttandoli come un qualsiasi oggetto. Tale fenomeno ha indotto l’uomo a pensare che solo a lui sia stata concessa “l’intelligenza”, mentre all’animale “l’istinto”, e a ritenere che l’animale non soffrisse come lui, per poterlo usare e sfruttare a suo piacimento.
L’idea degli animali quali essere inferiori, contro i quali tutto è lecito, suffragata per millenni da religioni e filosofie, ci impregna talmente che traspare dal linguaggio comune, che abbonda di espressioni che li connotano in modo dispregiativo, denigratorio, offensivo, in riferimento a loro vere o presunte caratteristiche, a prescindere dalla reale conoscenza che di essi abbiamo. I termini stessi “animale”, “bestia” sostengono e rafforzano l’idea di bassezza, di istinti e pulsioni fuori dal controllo: “non sono degni di essere chiamati uomini”, “si comportano come bestie”, “sono veri animali”, “solo una bestia lo farebbe”. Tutte queste sono espressioni comuni nel nostro modo di esprimerci, che trovano la loro apoteosi ogni qualvolta i fatti di cronaca ci mettono di fronte ad azioni particolarmente odiose, delitti efferati e a volgarità inconcepibili.
Implicitamente e costantemente il concetto di animale è associato a quello di essere infame, dotato di istinti crudeli, irrazionali e inaccettabili, per natura portato a comportamenti violenti, lontani da quelli tipicamente umani.
Agli esseri umani piace giustificare la loro cattiveria nei confronti degli animali con l’attribuzione di colpa alla vittima, con la quale si ribalta la responsabilità. Ed allora ecco i maltrattamenti ai danni degli animali domestici, perché non ubbidiscono.
Un’altra tecnica, forse ancora più grave e ipocrita, è il diniego, vale a dire il rifiuto a prendere atto di alcuni aspetti della realtà allo scopo di proteggersi dai conflitti interiori e dalle sofferenze. Il diniego consiste nell’ammettere il problema, ma negare che ci riguardi affinchè non provochi in noi un fastidioso disturbo psicologico; il problema viene visto come estraneo alla nostra competenza e ci sentiamo esonerati dall’imperativo morale ad agire. Grazie al diniego, la gente può tranquillamente permettersi di pensare che, ad esempio, le pellicce nei negozi si sono materializzate lì, sugli stands, e seppure il dubbio la sfiorasse, il problema comunque rimarrebbe appannaggio di altri.
Se tutti questi meccanismi, nel loro dinamico interagire, consentono di disconoscere la crudeltà nascosta nei confronti degli animali, discorsi diversi devono essere fatti a proposito dei maltrattamenti e delle crudeltà agite apertamente e consapevolmente.
Anche in questo caso il repertorio è pressoché infinito: ci sono tutte le forme di brutalità a carico degli animali d’affezione, cani e gatti in primo luogo, che siano o meno i propri: l’imposizione di sforzi estremi ed insopportabili ad animali da lavoro, quelli che ancora sono impiegati nelle campagne o quelli che sono obbligati al trasporto dei turisti.
Questo tipo di violenza volutamente agita è da collegare al piacere proprio alla sofferenza dell’altro, o meglio del più debole. Il fatto che le vittime, oggetto di tali esternazioni, siano animali significa che all’uomo piace scegliere come vittime predilette gli esseri viventi più deboli dando vita così ad una lotta ad armi impari nella quale vincere gli risulta molto più facile.
Non è certo un caso se in tutto il mondo esiste un enorme problema di violenze contro i minori, contro le donne, contro gli uomini meno tutelati, quali per esempio gli immigrati senza diritti.
C’è qualcosa di profondamente immorale prendersela con chi non può difendersi: tratto di viltà e di perversione.
Se davvero vogliamo estirpare la violenza dalle abitudini di vita, trasformando l’indifferenza e la deresponsabilizzazione in compassione, solidarietà, etica e coraggio verso tutti gli esseri viventi, abbiamo bisogno che ci sia un risveglio morale degli individui; e se l’intelligenza può solo indurre ad un’inevitabile pessimismo sulla sua realizzabilità, sono le ragioni del cuore a doverlo guidare.
Oggi più che mai è necessaria la diffusione di una visione del mondo che ponga la vita al centro di tutto, che riesca a far comprendere che senza il rispetto per il mondo in cui viviamo non c’è alcun futuro, come chiaramente dimostrano i disastri “innaturali” che avvengono a causa delle alterazioni compiute dall’uomo, e i danni irreparabili inflitti sempre per le stesse cause al nostro mondo.
Da alcuni decenni associazioni e volontari (e in questa opera rientra anche l’attività dell’associazione animalista “Amico Fedele” di Marigliano) si battono per una sorta di rivoluzione culturale che porti al riconoscimento anche giuridico dei diritti naturali dell’animale. Questa rivoluzione, questo futuro di civiltà a cui auspichiamo, che deve essere prima individuale e poi collettiva, deve partire dalla consapevolezza che bisogna abolire il dominio di una specie sull’altra, perché gli esseri viventi umani e non umani sono uguali di fronte alla vita e capaci di provare gioia e dolore.
L’innovazione del pensiero animalista è quella di porre, per la prima volta, sullo stesso piano tutti gli animali del creato: per cui l’uomo non è il padrone che può decidere di come disporre di tutti gli altri esseri viventi, ma viene visto come un animale al pari degli altri, che in quanto tale deve riconoscere a tutti il rispetto e il diritto alla vita.
Ma se ci chiediamo perché nel nostro Paese le cose non cambiano, trovare la risposta non è difficile: troppe sono le persone che dicono di avere dei problemi più grandi da affrontare, per cui queste questioni passano in secondo piano. A nessuno importa questo argomento perché siamo sono troppo presi da noi stessi, dai nostri problemi, dalla nostra vita e i giornali trattano argomenti che la gente vuole sentire. Non ci si impegna per cambiare la realtà perché così fa comodo. ”Non ci sono le risorse”, dicono i politici; ma perché non proviamo ad utilizzare meglio le risorse che abbiamo, senza sprechi, senza inganni, in modo da poterle distribuire equamente in tutti i settori senza penalizzarne nessuno?
Continuano dicendo che per loro sono più importanti i bambini che muoiono di fame degli animali; e ancora un volta qui si dimostra la presunzione dell’uomo a essere più importante di ogni altro essere vivente.
Nessuno mette in discussione il fatto che un essere umano abbia diritto alla vita e che bisogna combattere la povertà; ma mentre quello è un problema noto e sostenuto, quello degli animali resta un problema soppresso ed emarginato. Lo stesso volontariato animalista viene culturalmente emarginato e minimizzato dimostrando una incredibile indisponibilità verso quegli esseri che nonostante le leggi, gli scritti e le opinioni, sono ancora emarginati, come lo erano (e ancor oggi spesso di fatto lo sono) gli esseri umani improduttivi perché poveri, malati, handicappati, vecchi, ecc.
Ma è arrivato il tempo di agire: le violenze psicologiche e fisiche sugli animali oggi possono essere denunciate alle autorità, per questo lasciamoci guidare dal senso civico e dall’amore per questi esseri indifesi in difficoltà.
Chi pensa che nei casi di maltrattamento di animali le guardie zoofile siano le uniche a poter essere contattate, si sbaglia; oggi a poter intervenire sono tutti gli Organi di Polizia giudiziaria, quindi Polizia, Carabinieri, Polizia Municipale e Corpo Forestale, in quanto secondo la Cassazione tutti sono competenti per i reati in materia ambientale e di tutela degli animali.
Noi come associazione abbiamo iniziato a denunciare; chiediamo a tutti di seguire il nostro esempio; per chi volesse avere maggiori informazioni su come comportarsi in caso di maltrattamento e non sa come agire, può contattare l’associazione mariglianese in qualsiasi momento.
Non possiamo limitarci a parlare del problema, ma dobbiamo impegnarci a dare un aiuto concreto ai nostri amici animali perché vengano affidati a persone responsabili ed amorevoli, in grado di ricambiare il profondo affetto che il migliore amico dell’uomo sa donare incondizionatamente.
Forse il primo passo per cambiare le cose.
Filomena Sapio - Amico Fedele Marigliano
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