25/04/2024
(154 utenti online)
Cronaca Redazione 12 settembre 2014 16:24 Circa 6 minuti per leggerlo stampa
Lettera aperta alla Comunità di Marigliano di Francesco Aliperti Bigliardo
MARIGLIANO - Lo scorso lunedì 8 settembre, il Vescovo della diocesi di Nola, Beniamino Palma, ha incontrato la comunità di Pontecitra che si raccoglie intorno alla parrocchia Sacro cuore guidata da Don Pasquale Giannino. L’incontro era stato sollecitato dal consiglio pastorale e dall’Associazione cattolica della stessa parrocchia, per fare luce sulle motivazioni che avevano indotto il pastore della diocesi a maturare la scelta di sostituire l’attuale parroco, con quello al momento a “servizio” presso la parrocchia di Cicciano. Una notizia questa, che ha portato vivo scompiglio nella Comunità laica che da tempo collabora e segue la direzione dettata da Don Giannino.
Per illustrare le ragioni di questo malumore voglio elencare i meriti di Don Pasquale e quanta parte egli abbia avuto nella rinascita di questo quartiere nel corso dei tredici anni in cui ha operato nella nostra periferia. I suoi pregi e difetti sono sotto gli occhi di tutti, perché istintivo, solare e perentorio è lo stile della sua missione. Dirò per questo che a mio giudizio, la qualità, l’energia ed il carisma che in questo periodo di tempo ha saputo esprimere, hanno profondamente contribuito a rendere la parrocchia un solido e misericordioso punto di approdo per le molte “anime in cerca di dimora” disperse nella controversa periferia al di qua (come indica l’etimologia del termine Pontecitra) di Marigliano.
Non nego che tante sarebbero le correzioni che apporterei al suo agire impulsivo al punto da apparire autoritario, ma non posso al contempo dimenticare che se in questi anni è stato possibile stabilire relazioni con il comparto 219 qui allocato a seguito del terremoto del 1980, è solo ed esclusivo merito di questo parroco di frontiera dall’aria faconda e dallo spirito battagliero, fiero delle sue origini e del suo mandato. Un parroco che mi piace definire “scomodo” quindi, di cui spesso ho sentito parlare in toni dispregiativi da chi, dalla miseria e dalla dimenticanza trae profitto e rende fecondi i suoi loschi interessi. Uno di quei pastori in grado di incarnare e vivificare il meglio della dottrina sociale e civile della chiesa. Uno di quei personaggi insomma, che non ha paura di sporcarsi le mani e la faccia, con le sostanze vive del territorio in cui è stato chiamato a testimoniare la parola del Dio in cui tutti dicono di credere, salvo poi rinnegarlo alla prima elezione utile.
L’incontro si è svolto in un clima apparentemente sereno al punto da sembrare rassegnato. Io ero presente ed ho provato da subito fastidio per i toni ovattati che hanno poi fatto da sottofondo all’intera discussione. Sia bene inteso, il fastidio di cui riferisco, è forse solo mio. L’insofferenza che mi ha accompagnato in questi giorni è probabilmente frutto del mio spirito notoriamente avvezzo alla polemica ed al sospetto. Eppure io proprio non riesco a comprendere come si possa pensare di operare una scelta così radicale e sciagurata! Non posso credere che si ritenga compiuto e definitivamente acquisito il lavoro di avvicinamento al disagio ed alle complesse problematiche che affliggono l’intero quartiere. Siamo in realtà solo agli inizi della riconversione di Pontecitra auspicata in tutti i salotti bene della città eppure mai veramente inseguita, fattivamente supportata, caritatevolmente accompagnata nelle delibere dell’amministrazione centrale. Non comprendo quindi le ragioni di un avvicendamento che rischia di far precipitare una situazione che si tiene in equilibrio, più che precario, intorno alla figura di questo pastore così risoluto e coraggioso. Le conseguenza di questa scelta rischiano di portare l’intero circondario in una situazione caotica senza ritorno. Perdere Don Pasquale vuol dire perdere un termine di paragone e di confronto onesto e leale per l’intera comunità mariglianese. Vuol dire offrire campo libero a chi sull’area ha maturato tutt’altro tipo di propositi e di progetti.
Noi viviamo un territorio in cui il degrado, l’abbandono, la dimenticanza, il proliferare della sottocultura e del “ma che ce ne fotte?”, sono direttamente funzionali alle manovre di sottrazione del territorio, di occupazione degli spazi, di reclutamento di manodopera criminale a basso costo. La nostra è una società superficiale, distratta, laddove non addirittura corrotta e connivente. In cui tutto ciò che si muove in superficie, autorizza a pensare alla cospirazione ed alla corruzione come regole consolidate del sottomondo. Il passato che parla della nostra Storia, che racconta le nostre origini che produce consapevolezza ed orgoglio territoriale ma che non sa garantire guadagno e potere per tanti padroni presenti sul territorio, viene sistematicamente abbattuto, sgretolato, aspirato, cancellato dal campo visivo. Tutto nell’indifferenza generale, nel colpevole e complice silenzio delle istituzioni e delle forze politiche schierate in campo.
Per questo le ragioni espresse con tono dimesso e sofferente dal vescovo mi sono sembrate davvero poco convincenti. Il progetto che è alla base di questa scelta si è dimostrato da subito inconsistente e privo delle necessarie cautele. Sarò vittima della solita teoria del complotto maturato nella sala dei bottoni, ma comincio anch’io a credere che dietro questa vicenda ci sia la lunga mano di qualche non ben precisato potere occulto.
Per fugare ogni dubbio in merito ho anche sollecitato Monsignor De Palma ad esprimere in maniera analitica le motivazioni della sua scelta. A dimostrare che c’era un piano preciso e circostanziato. In cui i pesi erano stati distribuiti con il bilancino, piuttosto che pescati alla rinfusa. Non è servito a niente, le risposte che ardentemente desideravo per liberarmi dall’ingombrante sospetto, non sono arrivate.
Così in questi cinque giorni di silenzio, ho maturato la necessità di riferire all’intera cittadina dei cattivi pensieri che mi mordono l’anima. Dell’ossessione che mi consuma le meningi e che mi fa sentire protagonista di una delle tante storie mirabilmente raccontate nei romanzi di Sciascia. Sento ad ogni ora, farsi largo l’idea che l’attività di recupero, di divulgazione culturale, di accoglienza e catechesi sul territorio operata da questo pastore-cittadino attento e sensibile, possa avere creato fastidio eccessivo a chi vuole per forza trasformare la, un tempo ridente frazione di pontecitra, in uno spazio da utilizzare a proprio uso e consumo, in un cancro inestirpabile, fucina di manodopera criminale a bassissimo costo.
Voglio chiudere, chiedendo scusa a Don Pasquale Giannino che mi ha più volte invitato a sostenerlo in questo complicato passaggio del suo mandato terreno, con la preghiera piuttosto che con la sterile polemica pubblica. Ribadisco che si tratta di considerazioni personali, basate sulla tendenza del mio animo a vedere cose che non esistono né in cielo, né in terra. Che le conclusioni ed i sospetti si sa, non sono evidenze dimostrabili e passibili dell’intervento delle autorità. Chiedo scusa ancora a tutti quanti trarranno da questa confusa testimonianza, motivo di inquietudine e sofferenza, ma proprio non potevo tacere perché nel tempo, avrei vissuto questo silenzio come una colpa incancellabile.
Non autorizzo invece nessuno ad usare queste parole per motivare la propria rabbia o eventuali atti di inciviltà ed insofferenza, legati a questa o altra simile vicenda. Con affetto e passione autentica per la mia terra.
RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright MARIGLIANO.net
Commenti