28/03/2024
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Cronaca Andrea America 14 novembre 2015 21:03 Circa 3 minuti per leggerlo stampa
Era il 15 novembre del 1995. Ricevetti la notizia dell’uccisione del piccolo Gioacchino Costanzo, mentre da sindaco presiedevo la riunione della Giunta municipale di Mariglianella. Un ricordo che ancora oggi continua a tormentarmi. A portare la notizia furono i vigili urbani Paolo Iolo e Giovanni Caliendo: << Signor sindaco ci scusi per l’interruzione, ma è successo un fatto gravissimo. Hanno ammazzato un bimbo di due anni. E’ stata, crediamo, la camorra. Con lui è morto anche Giuseppe Raimo>>. Gioacchino si trovava nell’auto parcheggiata con “lo zio”, così chiamava Giuseppe il convivente di nonna Rosetta. Dieci minuti dopo avere appreso la notizia ero davanti all’abitazione della famiglia Costanzo.
Entrai quasi timidamente, ma nessuno aveva badato alla mia presenza. Il dolore dominava su tutto. Maria, la mamma del bambino, abbracciata alle altre figlie era una maschera di dolore. In un angolo della stanza disadorna, arredata con pochi mobili, ecco nonna Rosetta. Muta, lo sguardo perso nel vuoto, i capelli castani arruffati, la veste nera stropicciata. Sembrava una di quelle immagini sacre, tanto care al Sud d’Italia, una Madonna vestita a lutto e trafitta dalle sette spade. Rosetta sembrava incapace di tutto, persino di prestare aiuto a sua figlia Maria, la mamma di Gioacchino. E come avrebbe potuto? Lei, sotto sotto, si sentiva responsabile della morte di quella creatura, ammazzata insieme al suo convivente. << Perché, perché?>>.
Quell’unico interrogativo riecheggiava nella sua mente come un martello pneumatico. La cosiddetta società civile a fronte della vicenda tenne un atteggiamento quasi di distacco. Ai funerali parteciparono i parenti, la Giunta e i consiglieri comunali. Poca gente, Mamma Maria china su quella piccola bara bianca adornata di fiori candidi- che a lei sembrava una culla su cui vegliare- aveva consumato ogni lacrima e dalla sua bocca usciva un unico, straziante lamento come se il dolore le trafiggesse, fisicamente, il cuore. A confortare mamma e papà, le tre sorelle del piccolo, di dodici, dieci e otto anni. Nonna Rosetta era in disparte, incapace di qualsiasi gesto. Nella chiesa, amplificati si sentivano soltanto gemiti sommessi sovrapposti al rumore della pioggia battente che veniva da fuori.
Un dolore straziante a cui si sarebbe aggiunta l’indignazione per una condanna che non avvenne né da parte della società civile né tantomeno dalla Chiesa. Restava il nodo da sciogliere. Scuotere le coscienze e restituire al piccolo Gioacchino quel calore che viene dalla “compassione” dalla partecipazione sincera al dolore della perdita dell’intera comunità. Alla fiaccolata con corteo anticamorra dell’8 dicembre, promosso dall’Amministrazione comunale, preceduto da una serie di riunioni, incontri e iniziative con le scuole e le mamme, ci fu una partecipazione massiccia della cittadinanza e degli studenti. Quella fu la prima, vera manifestazione di solidarietà per il piccolo Gioacchino. La prima manifestazione di zona contro la camorra.
Alla fiaccolata fecero seguito altre iniziative importanti, quali l’inno degli studenti, il calendario anticamorra, redatto dai ragazzi della scuola media e distribuito a tutte le famiglie. Iniziative per le quali grande merito ebbe anche il Comandante dei carabinieri Ilio Ciceri. In memoria del bambino fu affissa una targa in marmo bianco sulla facciata d’ingresso della scuola media. La vita di Gioacchino era stata spezzata e il pensiero di quel ragazzo mai esistito, che oggi avrebbe ventidue anni lacera ancora il cuore di chi ha vissuto quelle vicende. Lunedi, 23 p.v. alle ore 16 e trenta, i ragazzi della scuola media terranno un corteo silenzioso con fiaccolata in memoria del piccolo Gioacchino e per manifestare contro la criminalità organizzata. Noi ci saremo. Eccome!
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