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Letteratura Redazione 20 marzo 2016 20:45 Circa 4 minuti per leggerlo stampa
Il 13 marzo è morto all’età di 89 anni uno degli ultimi grandi filosofi del novecento, allievo di Rudolf Carnap e Willard Van Orman Quine: l’americano Hilary Putnam. Nato a Chicago il 21 Luglio del 1926, avrebbe compiuto tra qualche mese novant’anni, un pensatore longevo e mai banale, studioso di Logica, Filosofia della Scienza, Etica e Filosofia della Mente. Divenuto celebre per gli importanti contributi in Filosofia del linguaggio, stava per pubblicare il suo ultimo lavoro, "Naturalism, Realism, and Normativity". Come un altro grande pensatore, lo scrittore portoghese Saramago, amava rendere pubblici attraverso un blog i suoi “commenti sarcastici” sull’attualità.
Professore emerito all'Università di Harvard, aveva insegnato per diversi anni a Princeton e all'MIT. Il 2 novembre 2011, a Stoccolma, gli era stato conferito il Rolf Schock Prize, l'equivalente del Nobel per la filosofia e la logica. Uno dei pochi filosofi analitici particolarmente attento alla Storia della Filosofia che non amava perdersi nelle facezie iper-specialistiche della scienza tout court. Questa sua inclinazione era probabilmente legata al suo “periodo parigino”; infatti fino all’età di otto anni Hilary Putnam visse in Francia con il padre Samuel, studioso di letteratura e attivista politico. È stato etichettato come il fondatore del funzionalismo, teoria quest’ultima che paragonava l’attività esperita dalla dualità mente-cervello a quella software-hardware del computer. Il percorso del filosofo americano è segnato da una forte discontinuità con le sue prime teorie da cui spesso ha preso le distanze, e che gli sono valse le critiche di un altro filosofo analitico contemporaneo, D. Dennet che scrisse: ‹‹L’unita minima del cambiamento delle idee equivale ad un Hilary››.
Al di là di facili battute (e Dennet è un maestro in questo), il cambiamento di prospettiva indica una ricerca continua da parte di Putnam, ricerca che ha abbracciato le correnti analitiche neopositiviste prima e la tradizione del pragmatismo americano poi. Il "realismo del senso comune" fondato da Putnam ha fatto emergere la differenza tra ontologia ed epistemologia: possono esistere, scriveva il filosofo americano, molte descrizioni della realtà, tutte ugualmente valide, proprio come una sedia può essere descritta in modo altrettanto corretto nel linguaggio della fisica, in quello della falegnameria o in quello del design. Essere realisti, per Putnam voleva dire cogliere l’importanza della percezione, le teorie della conoscenza che ignoravano questo aspetto non potevano non dirsi incomplete. In veste di realista “del senso comune” aveva partecipato con Umberto Eco al convegno di New York sul Nuovo Realismo.
Gli studi di Putnam hanno rivoluzionato anche il modo di pensare l’etica, non più ancorata all’ontologia. Il carattere monistico della metafisica, criticato dal filosofo americano, riduceva tutti i fenomeni etici a un’unica questione, la presenza o l’assenza di un’unica Entità: il Bene. Nell’indagine putnamiana questo atteggiamento “platonizzante”, “non può essere di alcun aiuto all’etica” . Non esistono dietro ai concetti delle entità misteriose che garantiscono i giudizi formulati su ciò che è ragionevole e ciò che non lo è. La questione dell’etica, dunque, secondo Putnam, riguarda solo ed esclusivamente il rapporto tra filosofia e vita: ‹‹ogni problema dell’uomo – sosteneva il filosofo americano – nella misura in cui ha un impatto individuale e collettivo, è, in senso generale, un problema etico››.
La genialità di Putnam la si evince anche attraverso alcuni “esperimenti mentali” che chiarificano le sue complesse teorie. Uno degli esperimenti più famosi è quello dei “Cervelli in una vasca” in cui il filosofo americano immaginava uno scienziato pazzo che asportava dal corpo di un uomo il cervello e lo immergeva in una vasca piena di liquido, collegandolo ad un computer costruito per simulare la vita del corpo. Il cervello vive in questa meta-realtà come se fosse vera ma è semplicemente una finzione costruita in laboratorio. Ma questa realtà esterna, come la nostra stessa vita, esiste davvero? Siamo ciò che crediamo di essere? Come possiamo essere certi di non essere cervelli in una vasca, manipolati da un qualche scienziato?
Domande in stile “Matrix”, alle quali Putnam diede la seguente risposta: ‹‹Se fossimo cervelli in una vasca, pur conducendo una vita apparentemente "normale" e ritenendo di avere esperienze e sensazioni ordinane, non potremmo renderci conto di essere cervelli in una vasca, anzi, non saremmo nemmeno in grado di porci il problema››. L’Intellighenzia filosofica mondiale ha perso in questi giorni uno dei suoi più cristallini talenti. Come direbbe lo studioso di logica Claudio Animato: ‹‹Il grande edificio della logica rassomiglia sempre più a quel che resta del Partenone››.
Francesco Prudente
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