28/11/2023
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Arte Viviana Papilio 21 febbraio 2023 17:37 Circa 2 minuti per leggerlo stampa
Tripudio di colori, fantasmagorie, drappi sontuosi, maschere assemblate alla bene e meglio, carri tridimensionali lucenti e dotati di sorprendente motilità. Spettacolini coordinati, musiche ballerecce, revival, coriandoli e scollature. Il Carnevale affolla le strade di diversi paesi dell’hinterland riportando in auge lo spirito festante che da decenni caratterizza la tradizione carnascialesca campana.
Più o meno di pregevole fattura, certamente di caparbio impegno, le feste di Carnevale cui siamo abituati si allacciano a una lunga tradizione partenopea che affonda le sue radici nella Napoli Secentesca quando, senza timidezza, la si poteva definire “madre di tutte le feste”.
Era l’epoca doppia, opaca e fulgida del viceregno spagnolo. La stratificata società napoletana ingombrava le strade dando vita a spettacolari manifestazioni che abbracciavano in concerto le tre classi inscenando una esaltante festa che trascinava in città nobili di tutt’Europa: l’aristocrazia sfoggiava abiti e maschere di pregio nei veglioni di corte e nelle uscite dal Serraglio, le corporazioni dei mestieri si impegnavano nelle sfilate di carri traboccanti mercanzie e leccornie e preceduti dalle infinite quadriglie, la plebe sfrenata dominava la festa con i saccheggi della cuccagna e il lancio di uova marce. Il clero, di per sé fedele al suo ruolo ammonitore s’impegnava nelle Quarantore per contrastare gli eccessi di una festa disinibita e palpitante, salvo concedersi qualche lieve contagio dallo spirito burlesco e gaudente.
Di pregio e di caratura particolare la testimonianza ricavata dalla tela di Alessandro D’Anna, datata 1774 che, per la sua chiarezza, rassomiglia a un fermo immagine del Carnevale napoletano dei secoli passati:
largo di Palazzo è gremito di persone che applaudono la sfilata di carri allegorici, i pulcinella in parata, uomini impettiti e il vicere in prima fila. Da Montecalvario al ventre dei quartieri spagnoli la festa tracimava in città, sino a giungere nell’Ottocento quando fu sostituita dalla sfrenata festa di Piedigrotta, 15 giorni di baccanali dal sapore antico dove era concesso trasgredire sotto gli occhi mai giudicanti della Vecchia di Carnevale con Pulcinella, delle scenette scurrili dei Zezi o del Ballo dei Turchi. Era baldoria ancestrale, popolana e nobile, mai sregolata, mai senza un perché.
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