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Letteratura Franco Trifuoggi 13 gennaio 2016 21:58 Circa 4 minuti per leggerlo stampa
Un uomo generoso,affabile, sempre disponibile e aperto alla comprensione delle ragioni e delle esigenze degli altri: tale è l’immagine di Aniello Montano che ritorna alla mia mente nel trigesimo della sua dolorosa scomparsa, accanto a quella dell’uomo di cultura, del filosofo apprezzato in ambito internazionale, del cattedratico delle Università di Genova e di Salerno.
Altri hanno già ricordato, con acribia e compiutezza, i suoi meriti accademici, i riconoscimenti ottenuti in Italia e all’estero e la ricchissima sua bibliografia. A me giova soprattutto ricordare la singolare sua umanità e il rapporto di amicizia di cui mi gratificò. Non vorrò indulgere, quindi, all’elencazione degli innumeri titoli della sua bibliografia, anche se non posso non accennare all’ampiezza e alla profondità dei suoi studi, che spaziarono, nella strenua ricerca della verità, su un amplissimo arco storico, dai presocratici (nei quali rinvenne le radici del pensiero bruniano) a Giordano Bruno a Campanella, da Hobbes a Spinoza a Vico, dalla filosofia e vita civile a Napoli tra il ‘700 e il ‘900 a Rensi a Croce, da Sartre a Merleau-Ponty a Camus.
Per non parlare dei più recenti saggi: Methodos. Aspetti dei metodi dei processi cognitivi nella Grecia antica; Ontologia e storia. Vico versus Spinoza; Giordano Bruno. Tra “teologia civile” e “teologia negativa”. Una serie di ricerche “originali, sempre filologicamente sostenute”, che rivelano in lui un “conoscitore raffinato del pensiero antico, moderno e contemporaneo”, come lo definisce Giuseppe Cantillo, che ha ricordato la sua “grande lezione di vita, la sua appassionata volontà di vivere, di sapere, di amare”.
Particolare importanza riveste, per una puntuale ricognizione della sua formazione e delle linee direttrici della sua attività di ricerca, l’ Autobiografia intellettuale, del 14 novembre 2012, giorno del congedo dall’insegnamento universitario, accolta in un libretto fuori commercio. In essa Montano ricorda con gratitudine i suoi maestri dell’Università di Napoli, tra i quali Cleto Carbonara, Giuseppe Martano, Aldo Masullo, Pietro Piovani, come lumeggia i rapporti con i filosofi stranieri; ed evidenzia il contributo da lui offerto alla storiografia filosofica “nell’ambito di una linea di pensiero privilegiante una visione della storia tutta legata al finito, all’individuale, ai contesti storici definiti”.
Non vanno, d’altronde, ignorate le sue ricerche su Acerra, sulla maschera di Pulcinella e sul mimo classico, segni inequivocabili del culto della poesia anche dialettale e dell’amore per la città natale, a cui accompagnò un’operosa attenzione per la vita culturale del circondario: non senza ragione, infatti, fu insignito della cittadinanza onoraria di Nola e di Palma Campania, così come fu promotore e coordinatore del Certame Bruniano presso il Liceo “Carducci” di Nola. Per non parlare del culto della famiglia e dell’amicizia, della sua passione per la pittura e dell’eccezionale forza d’animo mostrata nell’affrontare le insidie alla sua salute fisica.
Ciò che oggi più mi piace rievocare, però, in una con la sua amabilità e schiettezza, è la singolare chiarezza della sua parola, specchio di un animo limpido e di una grande armonia spirituale, la facilità di comunicazione, sia negli scritti, sia nelle conversazioni e relazioni orali. Al riguardo mi paiono illuminanti due episodi da me personalmente vissuti. Il primo, in cui ebbi l’onore di affiancarlo come relatore, il 9 novembre 2004, a Marigliano, nell’ambito della presentazione del pregevole saggio del comune amico prof. Antonio Tafuro La formazione di Niccolò Machiavelli: egli parlò a braccio, con il solo ausilio di qualche testo necessario per le opportune citazioni, avvincendo l’uditorio con un ampio discorso, insieme acuto, profondo ed accessibile.
All’altro episodio diede occasione il desiderio di una mia giovane collega lucana, estimatrice del professore, di ottenere una prefazione da lui per un suo saggio su Emmanuel Lévinas: mi rivolsi allora a lui, che non esitò ad accogliere quella richiesta, offrendo una prefazione mirabile per la felice osmosi di profondità, finezza ed eleganza; la mia postfazione, che l’autrice richiese, segnò un’ulteriore prestigiosa occasione di incontro culturale. Due momenti indelebili di vita vissuta, che ribadiscono, nel libro della memoria, il segno della sensibilità di Aniello Montano fissato nella definizione data da Sossio Giametta: “anima irenica, pura e francescanamente semplice e umile”.
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