09/06/2023
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Libri Anna Filannino 01 agosto 2022 23:46 Circa 3 minuti per leggerlo stampa
Mater semper certa est, pater numquam, è questo uno dei principi classici del diritto. La madre, porto sicuro in cui trovare rifugio nei marosi della vita, è per la sua creatura l’ancora di salvezza, il punto di riferimento, l’alfa e l’omega. Ma, siamo certi che sia davvero così per tutti?
Antonella di Pietrantonio è una scrittrice italiana nata ad Arsilia in provincia di Teramo; dentista pediatrico ha esordito con “Mia madre è un fiume”, testo che racconta la maternità da una prospettiva nuova: quella della distanza, dell’analfabetismo emotivo, del disattento accudimento primario che impedisce alla madre sufficientemente buona di svelare il suo vero volto dinanzi allo sguardo atterrito di una figlia che si schiude alla vita senza avere la certezza di essere amata dalla sua genitrice. È questa la storia della inconciliabilità tra le molteplici dimensioni dell’ego femminile.
Ambientato nel paese natio della scrittrice, il romanzo fa luce su Esperia, madre ormai anziana che vede la sua esistenza scivolarle tra le dita come granelli di sabbia asciutta; nessun ricordo, unica luce nel buio pesto è il racconto di sua figlia che tenta di riportarla a sé costruendo parola dopo parola, ricordo dopo ricordo, un castello di dolore e rabbia che la aiuterà a ritrovare sé stessa e a far luce sul meraviglioso e complesso mondo che si cela dietro la benigna immagine della diade madre- figlio.
Il titolo del testo rimanda al panta rei Eracliteo: la vita è un fiume nelle cui acque non ci si può bagnare due volte. Nel suo viaggio interiore la narratrice getta inchiostro sul foglio lasciando che il lettore attento colga la profondità del suo messaggio: “Ho chiamato ogni limite mia madre. Le ho imputato il mio volo zoppo. Lei è il mio pretesto. È causa, e motivo. Mia madre è un albero. Alla sua ombra mi sono giustificata. Si secca, anche l’ombra si riduce. Presto sarò allo scoperto”. Ecco la figlia che tratteggia l’immagine di una madre anaffettiva: “Le sono mancate per me attenzioni, tenerezze, contatto. Le sue mani erano d’ossa. (…) i gesti dell’accudimento efficienti, con poche sbavature affettuose (…) I conti non si chiudono mai tra me e lei. Tutta la vita l’ho cercata, ancora la cerco”.
Storia di un amore filiale tormentato in cui le vicende personali si uniscono alla storia corale di un’Italia contadina per alcuni aspetti ancora fortemente attuale.
Leonetta Bentivoglio de “La Repubblica” lo definisce “un libro brusco e audace” mentre Cristina Taglietti del “Corriere della sera” sottolinea “il lavoro rigoroso sulla parola e sullo stile” fatto dalla scrittrice.
Un testo da leggere tutto d’un fiato per cogliete le mille sfaccettature di un lento processo metamorfico – sentimentale che oscilla tra amore e odio, nostalgia e rifiuto.
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