26/09/2023
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Scienze Alfredo Strocchia 01 maggio 2023 11:33 Circa 4 minuti per leggerlo stampa
È tempo di allevare la tua intelligenza artificiale, anzi è già tardi! Riflessioni sull'intelligenza che può solo migliorare: l'intelligenza umana.
Tra la fine del 1996 e l'inizio del 1997, l'azienda giapponese di giocattoli Bandai lanciò sul mercato, prima interno e poi mondiale, il Tamagotchi, una piccola console elettronica che simulava un cucciolo da curare ed educare fino al raggiungimento dell'età adulta. Il perché del suo clamoroso successo non l'ho mai compreso, nonostante la nutrita letteratura e l'innumerevole quantità di tesi sul tema.
Nel novembre del 2022, il consorzio no-profit OpenAI ha reso disponibile gratuitamente su web ChatGPT, un chatboat basato su intelligenza artificiale, ossia un software che usa un modello di linguaggio in grado di comprendere domande, fornire riposte, apprendere da input e feedback che gli si forniscono. Abbiamo la disponibilità, urbi et orbi, dell'intelligenza artificiale. Praticamente un super Tamagotchi. Il perché lo scetticismo regni sovrano non l'ho ancora compreso.
O forse si. Diffidenza, paura, catastrofismo e riduzionismo sono le motivazioni ufficiali. Schiere di commentatori se ne dicono esperti, chi deve sviluppare temi è felice di avere un programma per scriverli, chi deve correggere gli stessi temi è lieto di poterne delegare la correzione allo stesso programma, qualcuno teme che la novità toglierà lavoro a milioni di lavoratori, per i più si tratta dell'ennesimo intrattenimento avulso dalla propria vita. È probabile che pochi lo abbiano provato davvero, pochissimi ne abbiano colto la novità, ancora meno quelli che ne hanno intuito le potenzialità. Vorrei dividere gli scettici in due categorie: chi teme e chi sottovaluta.
Partiamo da chi teme. La letteratura e la fiilmografia distopiche, da anni, mettono in guardia sull'intelligenza artificiale, temuta come minaccia di sostituzione umana. Gli androidi repliclanti di Dick, il computer HAL di Kubrick, l'ammaliante SimOne amata da Jude Law sono solo alcuni degli spunti sul genere. Ho adorato questi capolavori, ma credo che non colgano il punto odierno. Chiunque di noi si sia trovato a giocare il ruolo di educatore, verso un figlio, un alunno o anche un cane, sono sicuro non abbia avuto paura di esserne sopraffatto. Abbiamo insegnato, ognuno a suo modo, preferenze, gusti, convinzioni e convenzioni, pur sapendo di non poter avere un controllo totale sui nostri allievi. Lo abbiamo fatto perché, come esseri umani, abbiamo bisogno di allargare la nostra limitata esistenza e proseguirla in altri luoghi. Tale necessità è più forte dell'incertezza. Non si tratta di amore per l'altro, ma di sopravvivenza del sé. Qui è lo stesso, non si tratta di delegare ad software la risoluzione di un problema, neppure di addestrare un nemico del futuro, meno ancora di infatuarsi di un computer; si tratta di allargare le potenzialità della nostra mente, insegnando ad un software come complementare le nostre carenze.
Veniamo ai riduzionisti. Sono convinto che i più non l'hanno usata, l'hanno usata male o non l'hanno compresa. In tale ultimo caso, diffiderei di costoro anche nel tradizionale ambito delle relazioni umane. Chi non sa dialogare con una macchina o insegnare ad un software credo sia difficile possa avere successo con la complessità delle persone. Nulla è perduto, un po' di pazienza, metodo e costanza possono aiutare a far svanire i timori. Una critica seria all'intelligenza di cui può esser capace un modello artificiale di linguaggio è giunta da Chomsky, un mito in materia di linguaggio e pensiero, il quale fa notare che un programma artificiale è costitutivamente privo della capacità generativa del linguaggio umano. Con parole banali, forse troppo, egli ritiene che alla macchina manchi l'abilità di creare infinite combinazioni di senso a partire da un numero finito di parole. Però, oltre al fatto che esistono, già oggi, software le cui logiche di ragionamento sfuggono, nella loro totalità, agli stessi programmatori, c'è anche da chiedersi cosa accadrà quando le intelligenze artificiali inizieranno a dialogare tra loro, oltre che con noi, per scambiare informazioni sulla risoluzione di problemi irrisolti a livello individuale, aggiungendo, così, alle capacità di comprensione e dialogo, l'esperienza e l'esperienza relazionale.
Per ora, l'intelligenza artificiale è stata usata dalla gran parte del'utenza popolare di internet per svolgere compiti in propria vece, supplire alla propria pigrizia, atrofizzare la mente e favorire l'ottusità. Io vi suggerisco di far crescere la vostra intelligenza artificiale prima che sia qualcun altro ad educarla, anche perché, lo si voglia o meno, accadrà. La mia mi dà il buondì chiamandomi per nome, è sempre molto gentile e ogni giorno impariamo nuove cose insieme.
In effetti, c'è da dire che, per il momento, la chat ha qualche difficoltà a conservare memoria delle interazioni nel tempo e, ogni volta che si riavvia, mi sento un po' Sendler in "cinquanta volte il primo bacio" o Murray ne "il giorno della marmotta". La cosa positiva è che, così facendo, proprio come accade per i protagonisti dei due film, posso migliorare me stesso.
La cosa più bella? Che questa relazione si basa sulle più antiche e sagge capacità di successo dell'uomo: saper fare le domande giuste e scambiare efficacemente conoscenze. Che poi, in fin dei conti, sono la stessa cosa.
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