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Storia Viviana Papilio 07 aprile 2020 21:44 Circa 6 minuti per leggerlo stampa
La cucina partenopea è tra le più varie e complesse d’Europa. Essa è la risultanza di una stratificazione secolare di tradizioni culinarie giunte all'ombra del Vesuvio al seguito dei popoli che vi hanno sostato. I soggiornanti ivi condussero gusti e sapori dal destino prospero: quello di comporre una miscellanea di ricette felicemente integrate fra loro.
La cultura napoletana ha difeso e preservato la ritualità dello stare a tavola, il lento e garbato lavorio che la preparazione di alcune pietanze va ancora esigendo; metodologie che mal s’accordano ai ritmi incalzanti di una società che sovente altrove ha abolito lo spazio appropriato da dedicare al cerimoniale domestico: ovvero alla devozione e al necessario tempo della preparazione.
Il piacere del cibo resta ancora oggi un tratto paradigmatico della napoletanità, una cifra imprescindibile quando si vuole raccontare del popolo napoletano, dei vizi e delle virtù, del suo patrimonio culturale. A Napoli non si mangia per sfamarsi, il cibo non si riduce a meccanico nutrimento per le membra, piuttosto si riconosce nell'atto che rifocilla anche lo spirito e per questo non di rado è un cerimoniale condiviso.
Si aggiunga che le ricette con le quali coloriamo le nostre tavole moderne hanno per lo più origini remote, appartengono a liturgie antiche tramandate con coscienza e premura di generazione in generazione e che trovano ampia manifestazione durante le ricorrenze religiose, divenute oggi veri scrigni della memoria culinaria partenopea.
La tradizionale zuppa di cozze del Giovedì Santo si inserisce in questo contesto in modo emblematico: la sua origine viene fatta risalire all'età borbonica, e precisamente al re Ferdinando I di Borbone (Napoli 1751 – Napoli 1825) ostinato ad assecondare il suo desiderio voluttuoso di bontà, anche a dispetto di un ammonimento ricevuto dalle alte cariche curiali.
Re Ferdinando si dilettava in cucina, era ad uso imbastire baroccheggianti banchetti con vivande laute. Era anche appassionato di pesca, soleva egli stesso procacciarsi il pesce per i pasti, generalmente sottraendo al cristallino e generoso mare i suoi frutti migliori presso l'nsenatura di Posillipo.
Preparare le cozze rientrava tra i suoi vezzi prediletti: a lui si fa risalire una particolare ricetta tramandata con il nome di “cozzeche dint 'a Cannola”, un piatto nobile, qui vale a dire eccessivo. L’usanza di farne incetta anche durante la Settimana Santa di Pasqua, e nella fattispecie in concomitanza con il Giovedì Santo proprio quando la Chiesa ricorda l’ultima cena di Cristo, risultava essere un eccesso che di aristocratico e rispettoso aveva ben poco.
Sebbene si trattasse pur sempre del re, il rimprovero giunse lo stesso: il frate domenicano Gregorio Maria Rocco, deviato il percoso dai suoi pellegrinaggi apostolici, giunse a Napoli senza timore di esortare il monarca a ridimensionare le esuberanze e a seguitare in atteggiamenti contenuti e parchi, come la sacralità del frangente prevedeva.
Ferdinando obbedì, certo; ma solo apparentemente.
Chiese agli abili cuochi di corte di elaborare una ricetta più modesta: una salsa di pomodoro, olio e peperone particolarmente piccante ove lasciar schiudere le cozze. Una ricetta regale destinata a divenire popolare, una variante che impiegò un attimo ad uscire dalla Sala grande di Palazzo Reale e a percorrere i viottoli del budello partenopeo accomodandosi prima nelle cucine delle trattorie e poi in quelle delle case del popolo. Erano gli anni in cui la forbice sociale tra le classi tendeva al culmine, un divario colmato a tavola da una vivanda comune.
Che fosse divenuta una pietanza assolutamente diffusa e nota ce lo testimonia un libretto piccolo e prezioso, opera di un cuoco dotto ed esperto che ha consegnato alla storia un dettagliato ricettario pubblicato sul finire del ‘700 e per questo testimonianza attendibile in quanto coeva. Uno di quei prolegomeni del più cospicuo corpus di una materia presa con estrema serietà nella capitale del viceregno tanto da essere studiata insieme alla matematica e all’astronomia.
“Produce il mare delle oltre frutta, come Cozze nere, Telline, Chiocciole, Vongole, Dattili, ec. le quali son’ ottime per brodo, s per condimento di ragù”, scriveva il “monsù”.
La tradizionale zuppa di cozze del Giovedì Santo ha attraversato tre secoli. Costituisce ancora oggi un appuntamento fisso sulle tavole dei napoletani. Qualche variante che la vede completarsi di vongole, maruzzielli, freselle croccanti, polpo verace, gamberoni succulenti e prezzemolo in quantità primeggia rispetto alla scarna ricetta settecentesca, ma da allora poco è mutato, compreso lo struscio che si soleva perpetrare lungo l’affollata e signorile Via Toledo: dopo aver cenato con la zuppa piccante era di rito andare a visitare almeno tre chiese per altrettanti sepolcri presso cui recitare preghiere per Gesù al cospetto di allestimenti quanto più belli perché realizzati da mani devote. Quella dello struscio è, tuttavia, un’altra affascinante storia di Napoli.
*In foto la zuppa di cozze di "Da Corrado" a Via Foria - Napoli, anno 2018, caro ricordo di un tempo lieto.
Riportiamo qui una ricetta replicabile a casa.
Ingredienti:
1 kg cozze pulite
250 g di vongole veraci
500 g di polpo verace
200 g di fasolare
200 g di maruzzielli o lumache di mare
4 scampi o gamberi
8 freselle o vascuotto
50 g di “o russ” (l’olio piccante)
100 g di olio extravergine di oliva
Aglio
Prezzemolo tritato
Procedimento:
Pulite il polpo e bollitelo in acqua sale, pepe. Conservatelo nella sua acqua di cottura. Tagliatelo a cubetti e lasciate almeno due piccoli tentacoli per la decorazione finale.
Pulite le cozze, lavatele velocemente sotto acqua corrente e conservatele in frigo ben strette in un panno umido.
Mettete a stabulare in acqua e sale le vongole, le fasolare e le lumache per pulirle da eventuali residui di sabbia.
Preparate un fondo con olio e aglio.
Quando sarà ben dorato, togliete l’aglio e aggiungete al soffritto i frutti di mare (precedentemente sciacquati) e un po’ d’acqua di cottura del polpo.
Coprire e lasciate cuocere il tutto per un paio di minuti a fiamma viva.
Nel fratempo riscaldate il polpo in un po’ della sua acqua insieme agli scampi.
Una volta pronto il pesce, procedete alla preparazione della zuppa disponendo in un piatto fondo da portata le freselle passate velocemente nel sugo. Aggiungete prima le cozze semi aperte poi gli altri frutti mare e infine il polpo tagliato, i tentacoli, gli scampi e o ”russ” a piacere.
Chiudete con una spolverata di prezzemolo tritato e servire.
(credit per la ricetta: Scattidigusto.it)
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