26/09/2023
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Storia Antonio Cassese 16 ottobre 2006 23:22 Circa 3 minuti per leggerlo stampa
Davanti ai casi drammatici che si sono imposti in questi giorni all'attenzione e alla coscienza degl'Italiani ritorna alla ribalta il problema dell'eutanasia: passiva o attiva che sia in Italia è considerata reato. Il presidente Giorgio Napolitano ha chiesto al Parlamento di intervenire sulla questione con un confronto all'altezza delle esigenze culturali e sociali per promuovere gli opportuni interventi legislativi.
Sicuramente il mondo politico si frantumerà in mille rivoli; alcuni esprimeranno una propria visione religiosa o una propria ideologia politica, ma i più esprimeranno, come è già avvenuto in occasioni simili, opinioni e voti calcolando prima e attentamente gl'interessi di bottega: una mistura di ipocrisia politica e culturale !
Gli uomini che governano la vita degl'Italiani, qualunque sia la loro collocazione politica e parlamentare, dovrebbero ben sapere che governano in funzione di una Costituzione che, pur riconoscendo il libero esercizio a tutte le religioni, resta pur sempre un monumento di laicità. Le leggi devono essere rispettose dei principi costituzionali o dei diversi credi religiosi? Dall'Atene di Pericle ad oggi, nella visione di uno stato democratico, il compito della politica è quello di eliminare le difficoltà e gli ostacoli che non consentono una vita felice e dignitosa, indipendentemente da quella che può essere la volontà e l'imperscrutabile progetto di un Dio.
Ma anche una visione religiosa e soprattutto cristiana della vita dovrebbe aprirsi ad altri orizzonti, andando oltre i limiti di stampo medievale: è nel corso del Medioevo che la vita ha la funzione di un viaggio di espiazione terrena per riconquistare il paradiso perduto, il premio eterno. Per una siffatta visione aveva un senso anche una morte dolorosa, terribile, degna di un martire.
Con l'età moderna anche la cristianità, nelle sue diverse accezioni, ha rivalutato la vita come dono, un dono con tutti i limiti del finito e del transeunte ma pur sempre un dono, ricco di dignità e valori. Può siffatto dono tradursi, sia pure per responsabilità umane, in un martirio? in una sofferenza irreversibile che toglie dignità al dono ricevuto ?
Le mie domande, caro Antonio Capasso, non vanno lette in senso retorico; io una risposta non so trovarla! Tu hai ragione, tali domande non hanno senso in una concezione materialistica del mondo e della vita, concezione che si porta dentro difficoltà e contraddizioni; io cerco solo di mettere in evidenza le contraddizioni ancora più difficili e più profonde di una concezione finalistica della vita.
Un'etica non si può costruire sulla proibizione o sulla paura, sull'obbligo del comportamento o sul timore della pena; l'uomo con la sue scelte, col suo libero arbitrio, dev'essere sempre chiamato davanti al tribunale della sua ragione e poi davanti a tutti gli altri tribunali possibili. Il potere laico deve mettere a disposizione dei cittadini tutti gli strumenti legali necessari per affrontare le diverse possibili circostanze di vita; solo il ricorso a tali strumenti dovrebbe mettere in gioco la responsabilità civile, l'eticità e il senso religioso dell'individuo, soprattutto quando ha coscienza della perdita irreversibile della sua dignità di persona.
Lo so, non è facile, anche se in situazioni drammatiche, scegliere tra la vita e la morte: trovandomi in una condizione drammaticamente irreversibile e assolutamente vegetativa io staccherei la spina senza ritenermi per questo suicida, ma di certo non staccherei mai la spina ad un altro, fosse pure la sua la più terribile condizione terminale!
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