09/06/2023
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Storia Viviana Papilio 04 maggio 2020 15:56 Circa 4 minuti per leggerlo stampa
NAPOLI - Portare il conto delle consuetudini che arricchiscono e delineano la fisionomia culturale di Napoli non è un esercizio facile per la memoria.
Sono tante le pratiche di carattere generale e costante che, perpetrate in un arco di tempo lungo, hanno assunto l’aspetto di una norma giuridica, usanze rispettate con la convinzione che vi corra l’obbligo di legge.
Una di queste, famosa e lungamente contemplata, era quella detta ‘o quatt’ e’ maggio: il giorno in cui agli inquilini era intimato di abbandonare le dimore in fitto e traslocare in un’altra abitazione. Che fosse o meno sancito sul contratto, ammesso che un contratto vi fosse, non aveva alcuna rilevanza.
In realtà prima che la norma del ‘quattro di maggio’ venisse declassata a mera abitudine popolare, essa non era affatto puramente consuetudinaria, fu anzi istituita durante l’epoca del viceregno con esplicita valenza giuridica. Nell’anno 1587 il vicerè Juan de Zunica conte di Morales, emanò una prammatica con la quale si stabilì che tutti i traslochi a Napoli si dovevano compiere tassativamente nel giorno primo di maggio, questo per evitare l’andirivieni dei facchini con il relativo trambusto generato senza regolamentazione in qualsiasi giorno dell’anno.
La prammatica non fu mai rispettata. Il primo maggio ricorreva, allora come ora, la celebrazione dei Santi Filippo e Giacomo a cui il popolo partenopeo era segnatamente devoto. Fu proprio il popolo a rifiutarsi di rispettare una norma che avrebbe impedito di omaggiare degnamente i Santi e avrebbe sconvolto la città in maniera ingestibile.
Toccò al vicerè Pedro Fernandez de Castro, conte di Lemos, pochi decennti dopo spostare la data al 4 di maggio e imporne il rispetto, senza ulteriori mediazioni.
Ancora oggi qualcuno ricorderà l’espressione incisiva “qua mi pare o quatt’ ‘e maggio” adoperata per descrivere una situazione di trambusto e disordine difficile da districare.
Acquerelli, racconti, opere letterarie, statuine del presepe, persino commedie, testi antichi e film raccontano con straordinaria efficacia espressiva un momento caotico e drammatico per chi ne era parte integrante.
Facchini e padroni di casa, giovani, anziane, fanciulle accatastavano di tutto sulle carrette che sfilavano in mesta processione tra le vie di Napoli.
Traballanti carrette cariche di masserizie si inerpicavano su per i viottoli o slittavano giù per strade strette dove, al miracoloso tenersi in equilibrio di quel catasto in disordine apparente, si andava ad aggiungere la difficoltà di non incidentarsi con gli oggetti sporgenti da altre carrette trainate da altri facchini, sospinte dalle urla di altri capifamiglia, accompagnate dalle lacrime di altre donne rammaricate per ciò che lasciavano per sempre dietro di sé.
Le case, poi, frattanto che la baraonda di cose non venisse raccolta, apparivano come depositi di un rigattiere, tutto ammassato e mescolato allo scompiglio interiore di chi, assieme all’abitazione, salutava per l’ultima volta gli affetti del quartiere.
Entro le 18 bisognava entrare in una nuova dimora: il cartello “si loca” segnava le case a disposizione. Quali case? La povera gente poteva scegliere tra una miriade di palazzine fatiscenti con balconi minuscoli, scalinate buie, ambienti diroccati, oppure i miseri bassi dove ancora oggi l’idea di poter restare chiusi dentro si scontra con la dura realtà di un ambiente unico, angusto e afoso, dotato di un solo sbocco sulla strada chiuso di notte e d’inverno ma “appena la primavera viene, chi lo abita, si trasporta nella via, sul marciapiede, vivendo sulla soglia, fuori della soglia, occupando il terreno pubblico”.
‘O quatt e’ maggio non esiste più. Ne resta un modo di dire e un ricordo che tende a sbiadire, e questi introvabili versi del poeta Carlo Antonelli che, a proposito dell’evento, volle parodiare l’immensa opera manzoniana ad uso del suo genio:
Vergini di lode e biasimi
Ecco con bel coraggio
Io prima innalzo un cantico
Al quarto dì di maggio.
E almeno avremm’ il merito
Di bella novità.
Dalla Marina al Vomero,
dal Mercatello al Molo,
dai Vergini a Posillipo
dall’uno all’altro polo,
tutto un subbuglio e strepito
in questo giorno appar!
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