Storia
Antonio Cassese
19 maggio 2006 00:20
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TRA LAICISMO E CONFESSIONALISMO.
SESSANTA ANNI DI VITA REPUBBLICANA
A Marigliano, come in tutti gli altri comuni del mezzogiorno e forse d'Italia, non manca mai alla processione del Santo Patrono il sindaco con la fascia tricolore; a Napoli Bassolino, ex comunista, da sindaco, alla presenza del Cardinale e dei numerosissimi fedeli, si arrampica sulla scala dei pompieri per fare omaggio di una corona di fiori alla Madonna Immacolata; a Roma la Camera dei Deputati ospita il Papa in una forma quanto meno anomala, non come capo di un altro Stato ma come capo della Cristianità. Solo tre esempi di un vissuto repubblicano spesso contraddittorio e incoerente . Il 2 giugno prossimo si celebreranno i sessanta anni della Repubblica, una repubblica giovane, nata dalle ceneri del fascismo e fondata sui valori del Risorgimento e della Resistenza. I padri costituenti, con intelligenza e lungimiranza, dopo un anno e mezzo di duro e difficile lavoro, seppero portare a sintesi, nella Carta Costituzionale, i tre filoni della cultura italiana: il liberale, quello cattolico e quello socialista.
Il principio cavouriano "Libera chiesa in libero stato" ha trovato la sua piena applicazione negli articoli 7 e 8 della Costituzione. Così recita l'articolo 7: "Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale"; così l'articolo 8: "Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano...."
E' rispetto a questi articoli ed ai loro valori di riferimento che è possibile analizzare la coerenza e la laicità dei comportamenti politici in questi sessant'anni di vita repubblicana. La laicità dello stato italiano affonda le sue radici nella tradizione della cultura italica e soprattutto nel Risorgimento. Lo stato che si afferma con Roma capitale nel 1871 è uno stato che nasce senza il riconoscimento della Chiesa Cattolica a cui tuttavia offre le garanzie (Guarentigie) per la territorialità di un proprio stata, lo Stato Vaticano, autonomo e indipendente. Ne nacque una "guerra fredda" che si è protratta per circa sessant'anni fino al 1929.
L'11 febbraio di quell'anno, dopo un estenuante balletto diplomatico condotto con certosina pazienza dall'avvocato Francesco Pacelli, per il Vaticano, e, per l'Italia, dal consigliere di stato Domenico Barone, nel palazzo di San Giovanni in Laterano, Mussolini e il Cardinale Gasparri firmano i patti della CONCILIAZIONE. Nel 1984 Craxi, capo del governo italiano, e il cardinale Casroli adeguano i Patti alle esigenze costituzionali. Il nuovo corso della storia italiana sarà fortemente condizionato da tale Concordato; da un lato rinsalda il regime fascista ormai del tutto liberticida e dall'altro consente alla Chiesa di guadagnare ampi spazi di manovra sul piano temporale. L'insegnamento della religione cattolica nelle scuole dello stato, come previsto dal Concordato, compromette sostanzialmente l'autonomia della nuova "paideia" e la stessa laicità dello Stato. Molte conquiste di civiltà del popolo italiano passano attraverso laceranti scontri con la Chiesa cattolica: quello che in altri paesi europei è normale attività legislativa, in Italia, per il governo del popolo, si trasforma in scontro ideologico con lacerazioni politiche e sociali.
Già le elezioni politiche del 1948 furono una evidente anticipazione del corso futuro della Repubblica: la presenza di tutto l'apparato ecclesiastico nella prima competizione elettorale era il segno premonitore di future ingerenze confessionali. Un partito cattolico ha poi gestito per lunghi anni i destini della Repubblica in modo piuttosto confessionale. Con l'avvento della seconda Repubblica, la frammentazione del partito cattolico unico si è allontanata ulteriormente la speranza di una rigorosa laicità dello Stato. Partiti e uomini politici invece di garantire la laicità prevista dalla Costituzione si preoccupano di guadagnarsi le simpatie elettorali del mondo cattolico o delle gerarchie ecclesiastiche tollerando così ampie ingerenze delle stesse gerarchie nel governo della cosa pubblica.
Il passaggio dei docenti di religione nei ruoli dello stato, l'elargizione di fondi alle scuole private, per lo più cattoliche, le esenzioni fiscali concesse ai beni della Chiesa ed altri privilegi ancora sono la dimostrazione di una diffusa subalternità di uno stato laico ad una confessione religiosa. Ma il rapporto diventa estremamente stridente quando le gerarchie ecclesistiche interferiscono apertamente col potere legislativo dello Stato. Occorre più autorevolezza da parte di tutte le forze politiche per restituire allo Stato la dignità fondata nel Risorgimento, affermata con la Resistenza e garantita dalla Costituzione. Un giudizio critico sul rapporto consumato fino ad oggi non dev'essere inteso solo a difesa dello stato laico ma come esigenza di autonomia dei ruoli e delle funzioni per una maggiore garanzia dei cittadini sia sul piano temporale che spirituale.
Il comportamento etico di un cittadino, rispettoso dei valori religiosi, non può essere garantito da una legge dello Stato; allo stesso modo lo Stato non può venir meno ai suoi obblighi di tutela legislativa nella vita dei cittadini per una incostituzionale adesione ad una confessione solo per un calcolo elettoralistico dei suoi governanti.
Se si rispetta il messaggio evangelico di "dare a Dio ciò che è di Dio e a Cesare ciò cheè di Cesare" ne verrà fuori uno Stato più forte per la eticità laica del suo popolo e una Chiesa più salda per una più convinta adesione interiore dei suoi fedeli.
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