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Cronaca Andrea America 20 settembre 2014 00:29 Circa 4 minuti per leggerlo stampa
L'acceso dibattito in corso, anche nel Pd, riguardante la modifica dello Statuto dei lavoratori, ed in particolare l'art. 18, rischia di cozzare nuovamente contro i veti incrociati di coloro che si oppongono giustamente e sostanzialmente a qualsiasi intervento in materia e quelli che ne vorrebbero invece il completo stravolgimento, all'insegna dello slogan ""Nuovo Statuto dei lavoratori e Abolizione dell'art.18". Premesso che sono a favore del mantenimento dell’art. 18, per centouno ragioni, e soprattutto perché è una conquista dei lavoratori.
Un conquista al termine di una stagione di dure lotte sindacali nell’anno 1969 Una stagione di lotte fuori ai cancelli delle fabbriche perché fino ad allora era proibito ai sindacati entrarvi. L’art.18 inserito nello Statuto dei lavoratori, faceva parte del disegno di legge presentato nel 1969 "Norme sulla tutela delle libertà e dignità dei lavoratori, delle libertà sindacali e dell’attività sindacale nei luoghi di llavoro". Occorre inoltre ricordare che l’art 18 è stato già oggetto - appena due anni fa - di una profonda modifica ad opera della legge Fornero ( L. n° 92 del 2012), che ha eliminato l'automatismo generalizzato tra licenziamento ritenuto illegittimo e reintegrazione nel posto di lavoro previsto dallo Statuto (L. n° 300 del 1970).
Cosa si vuole ora di più? L'art. 18 non è più quello introdotto nel 1970: è veramente indispensabile intervenire nuovamente e distruttivamente in materia? Non sono d’accordo. Dietro le pressioni della maggioranza del governo Renzi, si tenta esclusivamente di dare un colpo micidiale alle tutele dei lavoratori e della sinistra progressista per spostare il baricentro a favore delle forze moderate e conservatrici. A fronte di ciò condivido le preoccupazioni dei sindacati e la loro volontà di mobilitazione per cui mi schiero senza se e senza ma, dalla loro parte. Sono contrario e dico di no ad ulteriore modifica dell’art 18, anche alla luce delle considerazioni che seguono.
1) La normativa introdotta con la suddetta recente riforma ha già regolato in modo articolato il regime delle varie forme di licenziamento (discriminatorio, disciplinare, economico), con soluzioni equilibrate di contemperamento tra esigenze aziendali e tutela del lavoratore. Oggi il Giudice davanti a un licenziamento può scegliere - in molti casi - se risarcire il lavoratore o reintegrarlo: escludere del tutto il reintegro è un'ipotesi non accettabile.
2) L'attuale ordinamento del mercato del lavoro contiene una "giungla" di modelli contrattuali, in gran parte caratterizzati dalla precarietà dell'impiego, stigmatizzata ormai da ogni parte e di cui è necessario lo sfoltimento. Il disegno di legge attualmente in discussione (il cosiddetto Jobs Act) prevede l'introduzione del "contratto a tutele crescenti"(che sarebbe opportuno designare come "contratto a tutele differite" in quanto l'aumento delle tutele - la stabilizzazione e la possibilità di reintegrazione in caso di licenziamento - è prevista dopo i tre anni dall'assunzione, nei casi di conferma incentivata dai vantaggi fiscali o previdenziali ). Si tratta di un nuovo strumento di flessibilità meritevole di attenzione, che potrebbe rispondere alle esigenze dell'attuale mercato del lavoro, in quanto prende in considerazione le esigenze delle imprese e della nuova occupazione, essendo riservato ai lavoratori under 35 e a quelli over 50. Di certo però non sarà questo strumento o tantomeno l’abolizione dell’art.18 ad incentivare lo sviluppo e gli investimenti per l’apertura di nuove imprese e per creare nuovo lavoro, soprattutto in Campania e nel Mezzogiorno Gli ostacoli per fare impresa e sviluppo, per essere competitivi sul mercato, sono ben altri e abbastanza noti per cui è superfluo ribadirlo.
3) Altre modifiche dello Statuto dei lavoratori? Le proposte che circolano - quali la possibilità di consentire il controllo tecnologico a distanza della prestazione dei lavoratori da parte delle imprese e una maggiore flessibilità per la modifica delle mansioni - andrebbero integrate da nuove previsioni in tema di rappresentanza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, attraverso la modifica dell'art. 19 dello Statuto dei lavoratori, che necessita di essere aggiornato. Se qualcuno parla di nuovo Statuto per abolire l’art. 18, non solo è in mala fede ma è uno di quelli che vuole i lavoratori licenziati, umiliati, mazziati e rinunciatari della propria dignità. Non è accettabile l'idea che la crescita debba essere rilanciata attraverso la completa svalutazione del lavoro: è una convinzione iniqua socialmente ed economicamente infondata.
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