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Cronaca Fulvio Gennari 21 dicembre 2007 00:08 Circa 3 minuti per leggerlo stampa
"Camionisti di tutta Italia unitevi! Con le buone o con le cattiveÂ…". Beh, la
filosofia dei promotori dello sciopero degli scorsi giorni più o meno è stato questo, ma non
è mia intenzione oggi parlare né dei motivi giusti o sbagliati di tale sciopero né dei
metodi coercitivi che l'hanno reso praticamente totalitario.
A farmi riflettere sono stati più gli effetti che le cause, perché in soli tre giorni
di blocco un paese intero è stato messo sull'orlo della paralisi: drastica riduzione della
capacità di spostarsi per via della benzina esaurita, scaffali vuoti e carenza di merci
soprattutto nell'ambito dei beni deperibili, tantissime grandi aziende costrette a mandare i
lavoratori a casa per impossibilità di far funzionare le linee di produzione mancanti di
materie prime o semilavorati (oggi in Italia è sempre più diffusa la tecnica giapponese
detta 'just in time' che, detto in maniera semplicistica, significa che solo quando si hanno
le commesse di lavoro tra le mani si ordina ai vari fornitori tutto il necessario alla
produzione; ciò serve a ridurre al minimo scorte di magazzino e ad abbassare di conseguenza
costi e rischi).
Tre giorni e viene fuori tutto questo casino? Pare proprio di sì… e l'abbiamo toccato
con mano. Ma perché?
Il primo dato che fa impallidire è che, a differenza di qualsiasi altra nazione avanzata,
ben l'86% del trasporto merci italiano avviene su gomma. Un'enormità . Vale a dire che alle
strade ferrate, all'acqua e alle vie aeree rimangono briciole.
Si può comprendere che la morfologia della nostra nazione abbia molto contribuito in
passato a certe scelte, ma uno squilibrio di questo tipo è sintomo sicuro di amministratori
del passato davvero poco lungimiranti. Con la distribuzione tutta spostata su gomma ci
troviamo nei fatti a subire una dipendenza pesantissima dal petrolio che, ce ne fosse
bisogno di ricordarlo, dobbiamo totalmente importare. Che succede se, come è avvenuto, c'è
un aumento vertiginoso del prezzo del petrolio? Che i costi delle aziende di trasporto
crescono in modo tale da mandarle in crisi (ecco che poi scioperanoÂ…). E se, come ormai si
dice da anni, prima o poi arriverà un crisi mondiale del petrolio che va rapidamente
esaurendosi? Con lo stato dei fatti odierno l'Italia chiude bottega.
Abbiamo scelleratamente abbandonato, a differenza delle altre grandi nazioni (Francia
su tutti), il nucleare, non sviluppiamo altre forme di energia alternative in grado di far
muovere l'economia di uno stato (eolica e solare sono forme di energia per ora limitate), ma
la cosa più sconcertante è che nessun governo passato ed attuale ha mai posto nei suoi
programmi una seria e decisa politica energetica che possa assicurare un futuro all'economia
italiana.
Circa 20 anni fa la nostra classe politica, con una lavata di mani degna del miglior
Ponzio Pilato, affidò la scelta del nucleare al 'democraticissimo' strumento del referendum.
Non me ne vogliano i populisti, ma al cittadino andrebbero affidate solo scelte circa le
quali ha coscienza e comprensione di quello che vota (come fu ad esempio per l'aborto o il
divorzio)Â… ed in quel caso, subito dopo il terrore di Chernobil, l'esito referendario era
praticamente certo ed orientato all'antinucleare. Solo che il mondo politico non si volle
assumere la responsabilità di tale scelta, ben sapendo che il conto di quella rinuncia prima
o poi sarebbe arrivato. Fu ben più facile giocarsi il jolly del referendum, illudendo da un
lato i cittadini di partecipare ad una scelta strategica di siffatta importanza e
garantendosi dall'altro dei 'colpevoli' in caso la medesima scelta si fosse rivelata
fallace.
Cosi è… se vi pare
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