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Franco Trifuoggi 24 settembre 2012 23:19 Circa 5 minuti per leggerlo stampa
È valsa davvero la pena lasciarsi tutto alle spalle per vivere le nostre storie e raccogliere cocci di esistenze frantumate?”
È questo inquietante interrogativo uno dei temi dominanti del bel libro di Rino Scotto Il brevemondo (Ed. Eracle, Napoli 2012). L’autore, insegnante, studioso di pedagogia e scienze religiose, già Assessore al Comune di Procida, fondatore del premio letterario “Il mondo salvato dai ragazzini – Elsa Morante”, forte dell’esperienza di educatore di strada tra la “Sanità” a Napoli e il Brasile, dal 2000 ha lasciato la carriera politica e il lavoro per dedicarsi al coordinamento di uno street work per il recupero e il reinserimento socio-familiare dei ragazzi a rischio con l’associazione “Tam Tam Brasile” ONLUS. Ha inoltre pubblicato Cartoline dal Brasile (2006), Pedro dei Record (2009, segnalazione speciale al Premio “Isola di Arturo Elsa Morante”) e il racconto Procidammore.
Il romanzo, autobiografico e di vivida attualità, apre appunto “un grande squarcio su una realtà abbandonata o, forse, solo dimenticata”, quella dei meninos de rua,i “ragazzi di strada” del Brasile, come afferma la lucida e partecipe prefatrice Manuela Maccaroni, giurista, Presidente dell’Associazione Nazionale Avvocati per i Minori e le Famiglie, presente in molte trasmissioni radiofoniche e televisive quale esperto giuridico della materia minorile e di famiglia. La consapevolezza piena di quella drammatica esistenza e la conseguente scelta definitiva, da parte di Scotto, di soccorrere quei ragazzi prendono forma nel giorno di luglio 1993, quando 8 di essi vengono fucilati sui gradini di una chiesa dagli “squadroni della morte”. Egli ne mette a fuoco, nelle pagine del romanzo, la realtà materiata di povertà, disperazione, droga, precocità sessuale, violenza e sangue, attraverso un insistente dialogare con uno di essi, William, che cerca con instancabile tensione di redimere e convertire al recupero dei valori e del senso della vita – “oceano di infinite possibilità” – come di immunizzarlo dai rischi a cui a cui è continuamente esposto.
Da questo assiduo discorrere ed argomentare dei due interlocutori traluce la miseria morale che fa da sfondo alla tragedia: il Mercato della Felicità che predilige una fascia sempre più acerba di potenziali clienti, i bambini e i giovanissimi, ove la musica stessa, irradiata nei locali funky, esalta spudoratamente banditismo e pornografia, inneggiando al “piacere usa e getta”. E su tutte le vicende sormonta lo sforzo strenuo del “maestro” di condurre William a condividere, almeno in parte, le sue opinioni e valutazioni etiche e di agire in conseguenza: uno sforzo costellato più di sconfitte e di rese che di vittorie, ma che si alimenta di un dialogare serrato, a maglie strettissime, entro il quale il ragazzo si muove con implacabile dialettica, che rispecchia la sua insanabile insofferenza per le regole e un certo cinismo, a volte più verbale che sostanziale, scaturito comunque dalla frustrazione del suo anelito ad una giustizia sociale ecumenica e dalla crisi del suo utopico sogno di pace tra i popoli: “io sballo per lenire il dolore del mio desiderio estinto”; “prima di diventare banchetto per i vermi conviene non alzarsi mai dal tavolo imbandito della vita e ingozzarsi fino a scoppiare”.
Un bisogno di acre rivalsa che si traduce in un registro linguistico spudoratamente realistico, spesso crudo, lutulento e scommatico, al quale deve, qua e là, adeguarsi anche la cifra stilistica del maestro, aperto anche a mobilitare citazioni ed ascolti di icone del pop rock internazionale e di forme musicali come la Bossa Nova, “ritmo dell’estenuante rincorrersi di gioia e tristezza”, e che pure conosce fioriture di metafore fascinose ed ariose aperture descrittive.
A questo “scarabocchio di figlio” adottivo questa “bozza di padre” non sa, comunque, rinunciare: l’amore inesausto gli consente di perdonargli tutto: fughe, piccoli furti, bugie, improperi! Tutta la sua rischiosa azione suasiva e protettiva non riesce, però, ad immunizzare William dalla sua “follia autodistruttiva” e a risparmiargli una triste fine! Una vicenda che induce l’autore - avvezzo ad invocare con devozione la Vergine, Gesù, San Michele Arcangelo patrono di Procida - a porsi insistenti domande metafisiche, sul “dopo” della nostra esistenza, sul mistero, su Dio, che “regola l’universo con l’unica legge dell’amore” e rende autonomo l’uomo, sul “risveglio” in cui crede, poiché diversamente nulla avrebbe senso: un pressante excursus meditativo che pare rispondere anche all’intento dello Scotto di sollevare sé e il lettore in un’atmosfera più pura, riscattandolo dall’immersione nei miasmi di quel regno di corruzione e di sangue.
Il romanzo, che esemplifica efficacemente, con il nitore della sua testimonianza, l’esigenza sofferta del suo autore di riscattare i “figli randagi del gigante verde oro”, è davvero “un libro dove non c’è spazio per prendere fiato” – come nota la Maccaroni – e al quale pure non manca di arridere la luce di una irriducibile speranza. Ciò spiega il successo di pubblico e di critica riscosso, alla fine di luglio, dalla presentazione del libro, fresco di stampa, sulla terrazza dell’Hotel Miramare e Castello di Ischia; relatori lo stesso autore, il dott. Davide Conte e la dinamica Rita Di Meglio, Presidente della FIDAPA isolana e impeccabile organizzatrice della manifestazione, che ha avvinto il pubblico con la sua penetrante analisi e la sua brillante verve, ponendo in rilievo i fini altamente benefici della pubblicazione.
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