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Franco Trifuoggi 25 dicembre 2013 21:06 Circa 4 minuti per leggerlo stampa
MARIGLIANO - Mercoledì 18 dicembre u.s. la Sala dei Convegni del Convento di S.Vito ha ospitato il nuovo incontro dedicato alla lettura del III canto del Paradiso. Sono intervenute le alunne dell’Istituto Professionale di Marigliano Mariya Dzibiy (della III A), Valentina Isernia (V A) e Raffaella Spera (II A), preparate con amore, impegno e competenza dalla prof. Annamaria Capasso. Alla lettura del riassunto del canto II, fatta da Valentina, ha fatto seguito quella dei versi del canto III, in cui si sono avvicendate le tre ragazze, con garbo e puntualità.
Ha poi commentato il canto il prof. Giuseppe La Rocca, affascinando il qualificato uditorio con una relazione chiara, incisiva e approfondita, ma immune da pedanteria, ed avvalorata da un frequente colloquio con la più accreditata critica dantesca.
Il relatore ha esordito affermando che il canto III è tra i più celebri della Commedia. In esso – ha rilevato – non c’è ancora la gioia di luci con i canti, le preghiere, le danze che si incontrano in seguito. Le anime del cielo della luna conservano ancora qualcosa delle loro sembianze umane, il che può far ritenere il I cielo un dantesco anti-paradiso. Dante incontra le anime beate che sono venute meno ai loro voti: la protagonista è Piccarda Donati,collocata, a ragione, tra i grandi ritratti della poesia dantesca.
La Commedia – ha osservato – è poema di personaggi soprattutto maschili; le figure femminili sono poche, e per lo più sullo sfondo. Donne vere, pochissime, ma attraverso loro Dante sviluppa l’intera riflessione sul tema dell’amore, dalla passione carnale alla più alta concezione religiosa. Il primo a collegare Francesca, Pia e Piccarda fu Francesco De Sanctis: “Francesca esprime tutte le sue passioni terrene e vi si inebria; Pia le indica appena ma con tocchi che richiamano tutto il quadro, mentre in Piccarda il terreno è del tutto svanito, vi è l’azione, non più il sentimento”.
Il poeta, scusandosi di non averla riconosciuta subito, chiede a Piccarda di conoscere il suo nome e la loro sorte, e lei si presenta e spiega che essi godono il grado più basso di beatitudine perché indotti, o forzati in vita, a non rispettare il proprio voto.
Alla domanda di Dante, se essi desiderino “più alto loco”, Piccarda precisa ricordandogli una legge che vale per tutti i beati: “Frate, la nostra volontà quieta / virtù di carità, che fa volerne / sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta”. Ella parla in prima persona plurale in nome dl gruppo a cui appartiene: la caratterizza, infatti, il senso di coralità. Ma Dante vuole conoscere dalla fanciulla conosciuta a Firenze la sua vera storia. Allora Piccarda, con sereno distacco dalle vicende terrene e senza l’ombra di rancore verso l’ingiustizia patita, parla in prima persona: dal mondo…giovinetta fuggi’mi…”, ma fu costretta dal fratello Corso a sposarsi contro il suo volere: “fuor mi rapiron de la dolce chiostra” ad opera di Corso medesimo e dei suoi complici, da lei definiti “uomini…a mal più ch’a bene usi”; e conclude il racconto con il famosissimo: Iddio si sa qual poi mia vita fusi”, che può essere accostato ad altre celebri chiuse di personaggi danteschi. “Un velo cade su quella vita”, dice Alberto Chiari. “Un velo che non sai se pietoso, per sé o per altri; se accusante, per sé o per altri; se pudico o dolente”. In quel verso, bellissimo, svanisce il ricordo della triste fine di Piccarda, come alla fine del canto svanirà la sua immagine nel’infinito spazio del cielo: “cantando vanìo / come per acqua cupa cosa grave”.
Piccarda rievoca la sua vicenda per spiegare quel voto non portato a termine, e per farlo indica a Dante due altre donne, due diversi esempi di devozione religiosa: Santa Chiara, la fondatrice delle Clarisse alla cui regola Piccarda si era votata; e l’imperatrice Costanza d’Altavilla, “che s’accende / di tutto il lume de la spera nostra”: in lei Dante vede la vittima sacrificale della ragion di stato.
Il canto si chiude sulle note dell’ Ave Maria, intonato in coro dalle anime, e con lo splendore di Beatrice con cui si era aperto.
È poi intervenuto il poeta Vincenzo Cerasuolo, che ha letto una scherzosa umoristica in dialetto napoletano sull’argomento, improvvisata pochi minuti prima.
Ha concluso l’incontro la Presidente del Centro di cultura “Quasimodo” prof. Viola Esposito, ringraziando i protagonisti della serata, e ricordando che il prossimo incontro avrà luogo il 15 gennaio del nuovo anno. Applausi calorosi per tutti e scambio di auguri.
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