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Cronaca Loredana Monda 23 settembre 2010 15:36 Circa 5 minuti per leggerlo stampa
EÂ’ stata accolta la richiesta del Pubblico Ministero Simona Di Monte della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli.
NOLA -. Ieri, la sentenza è stata emessa dal Tribunale di Avellino. E’ stata accolta la richiesta del Pubblico Ministero Simona Di Monte della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli. Per aver aiutato Pasquale Russo, Antonio De Sapio dovrà scontare tre anni di reclusione. Per aver, invece, aiutato Salvatore Russo, altre due persone erano state già condannate, con rito abbreviato, rispettivamente a quattro ed a tre anni di reclusione. L’epilogo giudiziario della vicenda è considerato una vittoria dello Stato al Gruppo Carabinieri di Castello di Cisterna.
Nel 2007, le indagini finalizzate alla ricerca e alla cattura di uno solo (Pasquale) dei due boss - primule rosse della camorra locale da oltre un decennio - erano state affidate agli uomini del Nucleo Investigativo. Il primo novembre 2009, la svolta epocale: la cattura di Salvatore Russo e di Pasquale Russo ad opera Squadra Mobile di Napoli e dai carabinieri di Castello di Cisterna. Dopo gli ultimi due anni di serrata attività di “intelligence”, assimilata dagli inquirenti ad una sorta di partita a scacchi tra Stato e Antistato, in sole quarantotto ore, le forze dell’ordine avevano posto fine all’impero dei Russo, arrestandone i capi e smantellando il clan. Insomma, un colpo decisivo era stato inferto agli eredi di Carmine Alfieri (o’ntufato), prima dei due fratelli signore incontrastato del Nolano, arrestato, proprio dal Gruppo di Castello di Cisterna (all’epoca Napoli 2), nel 1992. Per gli inquirenti, la cattura dei Russo era diventata una priorità.
Per arrivare ai due fratelli, era necessario attuare, però, una precisa strategia: fare loro il vuoto intorno. In questo contesto strategico, si inseriscono una serie di arresti operati dal Gruppo Carabinieri di Castello di Cisterna, tra cui quelli di Ciro Auriemma (rintracciato, il 5 maggio 2004, a Portici, dopo oltre tre anni di latitanza), di Antonio Capasso (rintracciato, il 28 novembre 2004, a Saviano, dopo quasi tre anni di latitanza), di Ciro Di Domenico (rintracciato, il 26 marzo 2006, a Napoli, dopo un mese di latitanza seguito all’emissione di un provvedimento restrittivo emesso nei suoi confronti), di Giuseppe Iovino (rintracciato, il 15 agosto 2006, a Tufino, dopo tre mesi di latitanza), di Michelangelo Monaco (rintracciato, il 23 maggio 2007, a Viserba di Rimini, dopo un mese di latitanza seguito all’emissione di un provvedimento restrittivo emesso nei suoi confronti), di Marcello Di Domenico (rintracciato, 7 settembre 2007, ad Orta di Atella nel Casertano, dopo circa otto mesi di latitanza), di Gennaro Tecchia (rintracciato, il 25 giugno 2008, ad Ottaviano, dopo oltre due anni di latitanza), di Marco Assegnati (rintracciato, il 18 dicembre 2008, ad Escalona in Spagna, dopo quasi due anni di latitanza).
Gli inquirenti hanno, insomma, colpito una serie di soggetti considerati direttamente o indirettamente legati al clan Russo, prima di arrivare ai due super boss a capo dell’organizzazione, con un’accelerazione delle attività dal 2007 alla storica cattura. Proprio la storica cattura ha evidenziato che i “signori” dell’agro nolano, vivevano praticamente reclusi, nonostante l‘enorme potere e il denaro di cui disponevano. Chiusi in abitazioni isolate seguivano e gestivano tutto, ingannando il tempo con hobby casalinghi, come sembrano rimarcare i rinvenimenti - nel covo di Pasquale e di Michele Russo - di una pistola calibro 9x21 con relativo munizionamento, di uno scanner sintonizzabile sulle frequenze delle forze dell’ordine, di un libro sulla camorra di Gigi Di Fiore, di giornali sulle gesta di altri criminali, di un dvd – gioco de “Il padrino”. Eppure, a dispetto della lunga latitanza dei suoi capi, il clan Russo era diventato l’espressione di una camorra di seconda generazione, che mirava agli appalti e all’imprenditoria, forte della creazione di un reticolo di connivenze, di silenzi colpevoli e di omertà.
Obiettivo delle forze dell’ordine era colpire questa nuova tipologia di camorra. Il colpo definitivo è stato inferto proprio con la cattura di Pasquale e di Carmine Russo il primo novembre 2009, frutto di una serie di accertamenti. Sono stati, infatti, i carabinieri a monitorare le conversazioni tra le persone che ruotavano intorno ai due germani. Tra le persone assoggettate ad intercettazioni la figlia e il genero di Pasquale Russo, che conversavano all’interno di una Lancia Musa, posteggiata nei pressi del covo del boss, individuata con localizzazione satellitare attraverso il sistema GPS. Dall’analisi dei tracciamenti del sistema GPS relativi agli spostamenti dell’auto, che - il 21 settembre 2009 - era guidata dal predetto genero del boss, era emerso che la vettura aveva sostato intorno alle 17 nel Comune di Avella (Av). Successivamente dal monitoraggio della conversazione tra Maria ed Antonietta Russo, sempre avvenuta in auto, era emerso che erano i corso preparativi per spostare Pasquale e Michele Russo presso il panificio di Sperone (Av) di una delle due donne.
Attraverso la verifica delle coordinate satellitari registrate dal sistema GPS montato sulla Lancia Musa, era stata localizzata un’area ricadente tra i comuni di Sperone ed Avella (Av), dove era presente un’abitazione con un annesso laboratorio di panificazione. Nell’immediatezza era stato effettuato un servizio di osservazione e di controllo a distanza dell’immobile, con l’ausilio di attrezzature tecniche, durante il quale era stata notata, all’interno del giardino dell’abitazione, una persona di sesso maschile, fortemente somigliante al ricercato Pasquale Russo. Poche ore dopo, vale a dire intorno alle 1 e 20 del mattino, i carabinieri erano entrati in azione, dando corso ad una perquisizione dell’immobile di Sperone. Si tratta proprio del blitz che ha consentito la predetta storica cattura - al primo piano della struttura (di proprietà di Antonio De Sapio, che abitava al piano di sotto con moglie e figlia) dei due latitanti.
Proprio per aver ospitato i due fratelli latitanti, era stato contestualmente arrestato Antonio Sapio, dopo il sequestro - nella parte di casa usata dai due Russo - di un coltello a serramanico (con manico in legno e lama di 12 cm), di una pistola semiautomatica di marca Beretta (mod. 8000 F Cougar) e di calibro 9x21, con caricatore inserito e contenente n. 12 cartucce calibro 9x21 GFL (più una contenuta all’interno della medesima camera di cartuccia), nonché di un ulteriore caricatore contenete 13 cartucce dello stesso tipo e calibro. Si trattava di una pistola con matricola semiabrasa, che aveva sulla canna un contrassegno matricolare. Ieri, proprio Antonio Sapio è stato, per l’appunto, condannato a tre anni per aver aiutato Pasquale Russo. All’uomo è toccata la stessa sorte spettata a coloro che avevano, invece, protetto Salvatore Russo.
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