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Storia Carlo Borriello 20 aprile 2008 22:36 Circa 1 minuto per leggerlo stampa
Negli anni tra il 1900 e il 1914, circa un milione di Campani abbandonarono i propri paesi per lidi americani. Un notevole numero di "cafoni" mariglianesi fu costretto a vendere quel poco che aveva risparmiato e imbarcarsi per mai più tornare. Lo Stato rimase indifferente al loro destino.
Nel 1915-18 la "patria" impose una guerra assurda che la massa degli italiani non voleva. Il nostro concittadino Alfonso Celiento nel suo "Diario di guerra 1917-18" annota in tempo reale e con particolari allucinanti le sofferenze delle migliaia di combattenti, di fanti mariglianesi marciti nelle trincee del Carso, ammazzati nel "macello" sull'Isonzo, nell'inferno di Caporetto e, inoltre, il dramma dei profughi.
"30 ottobre 1917 -scrive il Celiento nella lingua materna e immediata- sembre sul treno scendemmo a Stiliberbo (Spilinbergo in provincia di Pordenone) andammo a Valeriano e li stammi una notte, poi partimmi al Taglamento, in trincea; che imbressione e pianto che faceva! Tutti sgombravano tutti i paese; si vedevano donne, bambini, giovane tutte vestite nere e bambini che piangevano, il tempo che pioveva ridottamente, le povere donne coi piccoli avolti e sotto la pioggia camminavano verso l'italia per salvarsi la vita". (4). I nomi dei morti ufficiali, incisi nel bronzo del monumento ai caduti in villa, ricordano il tributo della città alla patria.
"La grande guerra lasciò una profonda impronta di orrori sul vissuto quotidiano di milioni di italiani, "una generazione perduta", per la quale nulla fu più come prima e che trovò assai difficile riprendere l'esistenza e il lavoro quotidiano come se niente fosse accaduto."
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